venerdì 22 giugno 2007

La danza dell'arroganza

Girotondo delle scrivanie. Poco tempo fa sono stata a colloquio con il direttore dell'azienda dove lavoro. Il mio contratto a breve scadrà, e – per motivi non solo lavorativi, non so se augurarmi un rinnovo o meno. Ma non è di questo che voglio parlare: ieri sera ho sentito un servizio di un TG locale che decantava le iniziative di una cassa rurale di un paese della provincia, che insieme alla Provincia stessa e a vari assessorati, ha finanziato borse di studio e master all'estero per studenti volonterosi, i cui promotori affermavano che è importante che questi giovani si affaccino all'esperienza internazionale, che sono meritevoli, e che si sono registrate assunzioni soddisfacenti di giovani ben formati e professionali. Molto bene – mi compiaccio: mi sembrano parole intelligenti, fin quasi lungimiranti! ho vissuto esperienze simili e sono a favore della possibilità di gettare lo sguardo oltre confine, anche per vedere più chiaramente ciò che abbiamo in casa, e se del caso, intervenire. …. Tuttavia, quando, qualche ora più tardi, le dita hanno ripreso a danzare sulla tastiera, la mente ha composto un collage di varie tessere: una laurea magistrale, esperienza professionale pluriennale, maturata sia all'estero che in Italia, tre mesi dopo il mio insediamento nell'ufficio che occupo mi è stato proposto di diventare capo-ufficio… Con queste premesse, al momento di ridiscutere il mio contratto mi aspetto che tutto venga – finalmente e volgarmente – monetizzato, (come mi era stato promesso lo scorso anno). Poco prima del mio colloquio ho saputo che a un collega (maschio) è stata fatta una proposta economica. Mesi fa il direttore (maschio) si è fatto aumentare lo stipendio (e la qualifica a "generale"). Al lavoro mi passano sotto gli occhi progetti - talvolta balzani – per migliaia di euro. Ma alla richiesta di aumento di stipendio e di livello, mi sono sentita rispondere che "non ci sono soldi". È chiaro che qualcosa non quadra. I conti non tornano e non serve un master alla Bocconi per accorgersene. È altrettanto chiaro che come ogni mattina in cui ci penso, mi è ripartito un incazzo alla Mike Tyson col proposito di sbattere al muro il caro diretur! ….per la serie "Buongiorno!!!!" Ahimè, certi questi rimedi obsoleti e poco femminili non mi sono concessi, quindi dovrò armarmi di pazienza, cocciuta flessibilità e flessibile cocciutaggine per il secondo round. Questo per voi non è che un semplice aneddoto, (sebbene scrivendo questa rubrica il mio pensiero sia andato alla Giornalista Anonima a cui mesi fa mi ero riproposta di rispondere). Ma è un aneddoto che sa troppo di vita quotidiana di molti. Ancora e sempre lusingati, affabulati, vezzeggiati e MAZZIATI!
Allora, care "isole di resistenza", ecco un paio di ricettine facili e veloci per ribattere a "proposte di stipendio o lavoro indecenti" 1) Giriamo le poltrone: Caro direttore, come certo saprà, all'Acquario di Cesenatico organizzano corsi di team-building per manager nella vasca degli squali. La mia proposta – però - è molto meno inquietante: Le propongo un bel gioco di ruolo; facciamo che io ero il direttore e Lei il dipendente sulla sedia; che io Le proponevo uno stipendio inadeguato per una mansione di impegno e responsabilità; "purtroppo non posso dare il giusto valore alla Sua laurea e alla Sua esperienza, ma verrà il momento, mi creda! Lei ha tutto il mio apprezzamento. E adesso, volentieri Le offro un passaggio sul mio Pajero full-cost aziendale fino alla fermata del tram?" 2) Per chi preferisce una versione più soft (o strappalagrime): "Caro Direttore, si metta una mano sul cuore. Lei che è un uomo di mondo e sa come vanno queste cose, pensi che al mio posto potrebbe esserci Suo figlio; come reagirebbe se tornasse a casa raccontandole di una simile proposta? Il primo a infuriarsi per la presa in giro e l'offesa arrogante sarebbe Lei!..." Non vi garantisco l'aumento, ma almeno il rispetto di voi stessi e la soddisfazione di aver smascherato e sbuggiardato questi beffardi arroganti affabulatori, che – chissà perché - dalle loro poltrone non si schiodano mai! PS: Ho sottolineato il paragone con i colleghi maschi perché nella remota valle trentina dove lavoro da mesi, ho respirato un'aria maschilista e retrograda che non avevo mai trovato altrove, se non, dieci anni or sono, in zone rurali del Portogallo. E allora ecco che l'esperienza all'estero mi torna utile.
...Nella prossima puntata potremmo discutere del perché ci siano tanti direttori e molte meno direttrici….?! Un cordiale saluto, La Donna Cannone

mercoledì 13 giugno 2007

Luoghi comuni (sui trentini)

1) Da voi fa freddo. Se la neve la sparano è ovvio che di vivo rimane solo il caldo.
2) Da voi la vita è tranquilla. Mettiamola così, abitare in Trentino è un po’ come stare a Cuba: tutto l’anno è uguale.
3) Siete razzisti: Non fatemi ridere! ho visto mocheni ballare attorno a un poster della Cucinotta ed eleggerla a pietanza preferita della loro tribù.
4) Siete dei gran lavoratori. Quando i dipendenti della Provincia si affacciano dall’ufficio e sorprendono in strada qualcuno a faticare si forma subito un assembramento, qualcuno fa buu, si contorcono, altri mostrano il pollice verso, certi si coprono gli occhi e si tengono la pancia, finchè uno esclama: Ostia che neger el terun! Poi richiudono le finestre, guardano l’orologio e vanno in pausa.
5) Tra Trento e Trieste c’è un ponte. No, quelli sono il dire e il fare.
6) Da voi si parla tedesco. Te lo vedi Goethe che dice: “ne vedem Zobia”?
7) Da voi si mangia bene. Corretto da tanti immigrati nel più realistico: da voi si mangia, bene!
8) Siete onesti. Diffidare. Altro che vendere la fontana di Trevi! Questa è gente che riesce a spacciare Segonzano per località turistica.
9) Da voi c’è l’aria pulita. Non è mica taciturno, il trentino, guardatelo meglio: è in apnea.
10) Siete freddi. La differenza tra i trentini e i pupazzi di neve è che non si sciolgono.

martedì 12 giugno 2007

Family Night(mare)

A.A.A. Famiglia Trentina Cercasi è lo slogan che per qualche mese ha attraversato le strade e le piazze del capoluogo trentino. Ricerca disperata che si è conclusa la sera del 10 giugno, con la proclamazione della Famiglia Tipica Trentina (che ci ricorda tanto l'Osteria Tipica Trentina, ma, temiamo, di carne meno appetitosa). "Avvenimento straordinario e coraggioso" "Fulgido esempio di provocazione reazionaria ". Il direttore della Galleria Civica di Trento è riuscito in un'unica abile mossa a coniugare arte contemporanea, propaganda politica, schiaffo alla miseria e dilapidazione di pubblici denari. Abbiamo visto sfilare e sedere sul palco del Teatro Sociale di Trento: il sindaco, l'onorevole sindachessa di Borgo Valsugana, un'ex deputata leghista e, crediamo, serpeggiare in sala varie ambizioni politiche ed esibizioniste fra pubblico e platea. Con ineffabile British understatement , l'artista e ideatrice di questo progetto, unico al mondo, ha preferito non mostrarsi al pubblico né alle telecamere. (Uno spettatore dietro di noi, certamente single per scelta altrui e macerato nell'invidia, ci ha bisbigliato all'orecchio che se ne stava defilata a sghignazzare di cotanto carosello seriosamente autoreferenziale). 5 le famiglie trentine in gara per aggiudicarsi l'occasione di essere immortalate nel bronzo a futura memoria…. Chi scrive non ha retto alla suspense. E in eroico sforzo si è defilato, trattenendo il fiato fino a ieri mattina, per apprendere dai giornali chi si fosse aggiudicato il titolo e l'onore. Ci conforta sapere che anche noi, come la giuria, siamo stati affascinati dalla famiglia Giuliani – (la vincitrice) – che alla domanda della Direttrice RAI locale "come definireste la famiglia tipica trentina in 3 aggettivi?", ha risposto "integrata, legata al territorio e solida ". Ci sfugge, certo, la profondità di queste affermazioni – e oramai stremati, senza voce per il tam tam transalpino a parenti amici e conoscenti, la bocca impastata di polenta, – a malapena ci rimane la forza di inviare questa mail. Ma il nostro ultimo sforzo è generoso; è perché l'Italia intera sappia, perché il popolo italiano tutto si pronunci, e ogni famiglia italiana entri in lizza per essere immortalata come famiglia tipica trentina.
Con entusiasmo travolgente da Napoli a Firenze scopriranno che in ognuno c'è un trentino, la consapevolezza di un popolo travalicherà il Po scavalcando l'orizzonte, Civitavecchia sgomiterà con Cortina per diventare un nostro Comune – e Jilliam Wearing riuscirà, finalmente, ove Garibaldi e il servizio militare interregionale hanno fallito.

Ridi pagliacciooooo

L'altra sera sono stata a teatro: spettacolo del comico trentino Lucio Gardin. Salvo qualche scenetta su una rete televisiva locale e una rubrica (che non ho mai letto), su testata provinciale, non lo conoscevo. È stato molto divertente – già a metà spettacolo mi doleva la mascella dal ridere, e alla fine, la testa. Ma con la pesantezza che mi contraddistingue, stamattina mi rode il tarlo, che mi fa interrogare sulle dinamiche di questa comicità nostrana. Che peraltro qualcuno mi aveva descritto come scontata e meccanica.
Gardin fa ridere i trentini parlando al loro ombelico. Talvolta un po' più giù, con una banale e volgarotta comicità genitale che non gli fa onore. Cassiamo la parodia delle donne al volante e l'imitazione dei veneziani. Il resto, mi ricorda una regia berlusconiana – come quando il Cavaliere con bandana intona canzoni partenopee e riesce comunque a trascinare le folle. Come il Cavaliere, c'è in lui una scintilla geniale e da vero businessman: un intero teatro è tornato a casa ieri notte felice di essere stato paternalisticamente sputtanato. E avevano persino pagato! Sospetto fortemente che Gardin possa ridere dei trentini in quanto trentino. Non scomoderei Pirandello, ma ho il sospetto che mi potrebbe spiegare perché certe critiche e battute sono ammesse solo da chi appartiene, per legame di sangue, "alla famiglia". Se sul palcoscenico ieri a sbeffeggiare i trentini, ci fosse stato un romano o un napoletano, credo avrebbe rischiato il linciaggio. Invece, battendo le mani, spellandoci i palmi e scuotendo le chiome, noi riconoscevamo nella macchietta del trentino affetto da orsite, abulia, falsa modestia, conformismo e ipocrisia, pettegolezzite vigliacca ed acuta, un altro: il vicino di casa, il collega dell'ufficio, la siora del supermercato… – "ma io no, mi no son cosita, osti……., e se anche in qualcosa mi riconosco, comunque non è grave, anzi, la fa propi rider!!" . Insomma, una risata consolatoria. Prudentemente, Gardin si è accertato che in sala non ci fossero romani, milanesi, toscani e napoletani. E sul palco di un piccolo paese di una piccola valle nel profondo nord-est dello stivale, questo comico regionale che racconta com'è Roma, Napoli e Firenze, (calcando molto sullo stereotipo nazional-popolare), ha il sapore acre e polveroso di certe novelle medioevali che studiavo al liceo , dove predicatori e teatranti ambulanti si fondevano, raccontando del mondo di villaggio in paese in villaggio, vendendo piume d'angelo e miracolose sacre reliquie.