giovedì 31 gennaio 2008

Il Codice Dal Piaz

“La lingua dialettale è ancora una stupenda, costruttiva e piena di possibilità.” Così scriveva Antonia Dal Piaz a pag. 7 dell’Adige del 28 gennaio. L’articolo riguardava un dramma che ha già spinto alcuni di noi al suicidio: a Trento un premio teatrale è stato vinto da uno spettacolo scritto in Italiano. Una lingua sconosciuta, straniera, come dimostra la frase dell’autorevole Dal Piaz, una che scrive come si chiama: senza un pezzo. Anche in quel caso il peccato non è quello che manca: è quello che c’è. Nella prima colonna leggevamo: “I giovani vogliono confrontarsi con storie rappresentative di una realtà che non affondi le radici esclusivamente nel passato (spesso esasperato e macchiettistico), in storie che non appartengono alla loro dimensione di vita…” che è come dire che i giovani vogliono storie attuali e l’esatto contrario. Sono i giovani o la signora Dal Piaz ad essere confusi? Forse la signora Dal Piaz è giovane. Sarà per questo che a noi attempati diventa difficile capirla, la signora Dal Piaz, anzi meglio: diventa difficile di capirla, perché così lei preferisce: “E diventa quindi imperante, prima di tutto da parte degli autori, nessuno escluso, di offrire testi anche dialettali”. Quello che a noi viene imperante invece è ricordare che la signora Dal Piaz è una delle autrici più in vista del panorama trentino. Cogliamo l’occasione allora per pregarla di stingere al parapetto, di non sporgersi, insomma di non avventurarsi in questi idiomi foresti. Questa e altre cose vorremmo dire alla signora Antonia, ma temiamo non possa comprenderci. Né ci appassionano le sue disquisizioni su un dialetto – lingua, come la chiama lei – che, al pari di qualche premio Nobel, ignoriamo. Un dialetto che quindi non può che starle su misura. Chiudiamo ripetendo come un mantra l’epitaffio che la signora Antonia ha voluto come titolo del suo articolo: “C’entra la qualità, non la lingua.” Amen. LdF

mercoledì 23 gennaio 2008

Via delle Orfane piazza il vigilante


Mendicare in un vicolo invece che sui gradini del duomo per qualcuno può significare il digiuno. Nelle grandi città i questuanti si contendono i semafori. È la guerra tra poveri, in una delle sue varianti, da Dickens alle leggi sull’immigrazione. Rivendicare un angolo in cui cadono più briciole, piuttosto che alzarsi per sedere a tavola, per i propri diritti, come cantava Bob Marley.
Cosa sappiamo della selva di palmi, di ciotole e bicchieri a secco che di solito per strada scansiamo fisicamente e mentalmente rimuoviamo?
Qualche volta inciampiamo in una litania, un cartello nuovo dall’ennesima etnia mai sentita prima e andiamo oltre.
Ieri ho notato un posto vuoto, anzi già occupato.
All’angolo di via delle Orfane, all’entrata di un supermercato, dove spesso sedeva un ragazzo con un che di serafico nel suo elemosinare e ritrarre il cantone che gli stava di fronte, sta un vigilante.
Una guardia nerovestita, armata, ma non di pennello.
A leggere i giornali locali il cambio pare aver raccolto consensi. Dice che ci voleva, che non se ne può più, che adesso si sta più sicuri.
Ma è la certezza del diritto che dà sicurezza. E ignoro in base a quale norma costituzionale un poliziotto privato possa dire ad un ragazzo di sgombrare, di cedergli l’angolo, come si fa tra accattoni. Ma quelli almeno non usano la scusa della sicurezza.
Gli stessi giornali dicono che una famiglia su sette non arriva a fine mese. Quel supermercato passa per essere economico.
Verrà un giorno in cui qualcuno di quei clienti che oggi ne escono guardando preoccupati lo scontrino si siederanno per strada, a mani giunte, capo chino. Spero si sazino, con la sicurezza.


gi

martedì 15 gennaio 2008

Vieni c'è una strada nel boscoooooooooooooooo

Vieni c'è una strada nel bosco, il suo nome conosco Vuoi conoscerlo tuuuuuuuuu? Cantava maliziosa una canzone d'altri tempi. Non vi dirò il nome del bosco, ma ciò che vi accade quasi ogni giorno intorno alle 2 del pomeriggio. Siamo ad A., nota località turistica a ca.40 km da Trento; ogni giorno, da ottobre, dopo pranzo faccio una lunga passeggiata sul limitare del bosco. Fuori stagione le passeggiate intorno al lago deserto sono alienanti. In ottobre e novembre il paese è spesso squallido e desolato e mi chiedo che ci faccio lì. Le condizioni atmosferiche scandiscono i miei incontri: con il sole tornano a spasso anche gli anziani; quando piove o tira vento mi imbatto solo in due ragazze sportive e qualche signora straniera. La neve di dicembre ci ha fatto cambiare percorso. E rompere il ghiaccio. Così, da qualche settimana, faccio staffetta dal tavolo da pranzo all'imbocco del bosco, dove incontro Ana. La riconosco dalla giacca a vento colorata. Piccola e robusta, circa 40 anni, la faccia tonda e lunghi capelli biondi. Il resto è a Bucarest: il cuore, bisogno di soldi, un bravo figlio studioso di cui è molto orgogliosa e un marito che nell'attesa lava i piatti e fa il bucato. Le ore di Ana trascorrono badando a un'anziana che non parla, intervallate ogni tanto dalla degnazione dei parenti della vecchia, che l'hanno assunta e non le fanno gli auguri di compleanno. I mesi in Italia sono scanditi da vari gradi di sfruttamento. Da 500€ a 700€, da 800€ a 1000€ e un contratto: "Io voglio il meglio per mio figlio. Lui è bravo, studia, ha i voti fra il 7 e l'8, sta imparando anche l'inglese!", mi racconta Ana con gioia. Stronzaggine senza età Ieri ero in ritardo e invece di Ana ho incontrato sua nipote: Nicoleta. Viene da una piccola città, ha 24 anni, è qui da uno; a casa una bimba di 3 anni l'aspetta e mangia pappa condita di mondi lontani, ciccia e sacrifici arrosto. Me l'ha mostrata in foto sul telefonino. Nicoleta ha due ore al giorno per prendere aria e non sbiellare. Non ha giorno libero, neppure la domenica; torna in Romania una volta all'anno e qui bada due anziani. La vecchia non brilla per simpatia. Talvolta non le lascia guardare la televisione e le vieta di uscire la sera. "Che stronza la vecchia!" dico a Nicoletta – "capisci "stronza", vero?" le chiedo sorridendo. "Sì! – fa lei – "Anche la nipote lo dice. È venuta l'altro giorno. Si voleva sedere mentre aspettava di andare a lavorare, ma la vecchia le ha detto no, perché mi disturbi. Vai a fare una passeggiata. E non l'ha lasciata stare a casa sua una ora a riposare. Allora la nipote è venuta con me e tutto il tempo mi ha detto che la vecchia è stronza e non vuole diventare come lei". Tu chiamale se vuoi, emozioni Queste passeggiate suscitano strane emozioni. Sono felice di incontrare Ana e Nicoleta: anche io sono straniera ad A. In quell'ora siamo persone, non badanti straniere né operatori turistici. Mentre le ascolto, a volte penso "che vita di merda fanno qua". Senza pietismi, le vedo strette in barriere linguistiche, asfissiate dalla mancanza di riguardo delle persone con cui abitano e lavorano. Mi stupisco del quotidiano sacrificio, della tenacia nel resistere alla solitudine e alla noia. Non so come curino l'infinita nostalgia. Credo frughino nella disperazione e nel bisogno in cerca dell'antidoto. Vi capita mai, prima di alzarvi, di rotolare fra le coperte pregustando di abbracciare il vostro ragazzo? Ana, per 330 giorni all'anno, quando si alza non trova il marito, ma un culo di vecchia da pulire. Miasmi, odore di vecchio, dentiere e pannoloni; domeniche rinchiuse in casa d'altri, forse davanti alla TV, in un paese dove non conosci nessuno ma tutti sanno chi sei e ti hanno etichettata: lo capisci quando facce nuove ti chiedono come sta la vecchia. Non chiedono mai come stai tu. Spigolature Mi chiedo se – al posto loro – ce la farei. Quanto ci impiegherei a dire o capire una frase in rumeno, senza averlo studiato? Quanto dovrei amare mio marito o mio figlio, per buttarmi in una vita del genere? Troverei tenacia nella gravità del bisogno? Forza nello stipendio? Non avendo risposta a queste banali domande, non me la sento di speculare oltre e affondare nella paludosa fenomenologia dell'emigrazione. Mi limito a darvi appuntamento alla prossima: osservatorio privilegiato su fatterelli di chi assume badanti ad A.

lunedì 7 gennaio 2008

Imbarazzanti talloni screpolati

Mesi fa in televisione una pubblicità mi proponeva rimedio ad un fenomeno estivo piuttosto imbarazzante: i talloni screpolati. Con un certo pudore, lo ammetto, in estate il problema mi attanaglia. Forse questa preoccupazione è viva tutto l'anno per feticisti del piede e amanti del genere; per me, che osservo malinconica lo sfumare dell'abbronzatura man mano che si abbassano le temperature, questo delizioso strumento estivo di seduzione che fa capolino da sandali esotici o su cui fioriscono anellini ed unghie smaltate, ora non è che un vezzoso ricordo.
A dicembre la Donna Cannone è bardata come lo yeti, il piede avvolto in calzettoni multi-strato e stivaloni o moon boot. Sotto la sciarpa, sospira come un'eroina di Liala scotendo le trecce e ripensando commossa all'estate. Dal berretto di lana l'occhio spunta a mo' di telescopio e constata: nei mesi invernali anche i più audaci frenano dal sedurci con generose porzioni di pelle.
Suvvia! Distolta dalla preoccupazione per i talloni, posso volgere il pensiero ad altre considerazioni. Smanio, per esempio, per la curiosità di sapere… hmm… Cielo! Non mi viene in mente niente! Beh sì, vorrei sapere cosa frulla nella testolina di certe turiste: ieri ne ho colta una che passeggiava nel bosco dandosi cipria e rossetto. Forse – beata lei! - aveva appuntamento con un fauno giocoso. Sono incuriosita dalla rinnovata diatriba sull'aborto, con la chiesa che scalpita per cementare la sua presa su coscienze intorpidite dal calore dei caminetti accesi in attesa di babbo natale, su menti occupate a contare le calorie ingurgitate ruminando torrone e pandoro o pregustare lo shopping dei saldi. L'altro giorno a Merano, mentre osservavo uno Schützen vestito di tutto punto, come appena uscito da un racconto di Luca De Feo "in mano una fetta di strudel strozzata come uno gnocco" (Condominio Gocciadoro, Luca De Feo, Ed. Curcu e Genovese), dalla radio emanava fetore del Sud: quintali di immondizia non smaltiti, dati alle fiamme, gestione camorristica del rifiuto solido urbano. Mi sono chiesta cosa unisca uno Schützen a un napoletano, racchiusi come allo zoo in un confine disegnato a tavolino. Persino la carta di identità dei nostri tiroler è verde bio. Mi accorgo, però, che oggi non sono in grado di affondare le mani in tanto goloso paciugo mediatico. Vorrei chiedere un suggerimento su cosa proporvi di interessante, avvincente o socialmente utile, al signor Edoardo. Ma non so dove trovarlo. Non mi resta che affidare a Trentinario questo scritto, sperando che Edoardo mi risponda.
Per ingannare l'attesa, dò un'occhiata al calendario e conto: 75 giorni alla primavera! Posso ricominciare a preoccuparmi per la linea, un nuovo taglio di capelli e un nuovo look. Pregustare il gioco della seduzione per la prossima stagione dell'amore! Ciaooooo, vado a incremarmi i piedini e a prenotare il pedicure! (Hai visto mai che Edoardo mi chieda di uscire con la scusa di discutere qualche argomento interessante…!?).
06.01.08