“La lingua dialettale è ancora una stupenda, costruttiva e piena di possibilità.”
Così scriveva Antonia Dal Piaz a pag. 7 dell’Adige del 28 gennaio. L’articolo riguardava un dramma che ha già spinto alcuni di noi al suicidio: a Trento un premio teatrale è stato vinto da uno spettacolo scritto in Italiano. Una lingua sconosciuta, straniera, come dimostra la frase dell’autorevole Dal Piaz, una che scrive come si chiama: senza un pezzo.
Anche in quel caso il peccato non è quello che manca: è quello che c’è.
Nella prima colonna leggevamo: “I giovani vogliono confrontarsi con storie rappresentative di una realtà che non affondi le radici esclusivamente nel passato (spesso esasperato e macchiettistico), in storie che non appartengono alla loro dimensione di vita…” che è come dire che i giovani vogliono storie attuali e l’esatto contrario.
Sono i giovani o la signora Dal Piaz ad essere confusi? Forse la signora Dal Piaz è giovane.
Sarà per questo che a noi attempati diventa difficile capirla, la signora Dal Piaz, anzi meglio: diventa difficile di capirla, perché così lei preferisce: “E diventa quindi imperante, prima di tutto da parte degli autori, nessuno escluso, di offrire testi anche dialettali”.
Quello che a noi viene imperante invece è ricordare che la signora Dal Piaz è una delle autrici più in vista del panorama trentino. Cogliamo l’occasione allora per pregarla di stingere al parapetto, di non sporgersi, insomma di non avventurarsi in questi idiomi foresti.
Questa e altre cose vorremmo dire alla signora Antonia, ma temiamo non possa comprenderci. Né ci appassionano le sue disquisizioni su un dialetto – lingua, come la chiama lei – che, al pari di qualche premio Nobel, ignoriamo. Un dialetto che quindi non può che starle su misura.
Chiudiamo ripetendo come un mantra l’epitaffio che la signora Antonia ha voluto come titolo del suo articolo: “C’entra la qualità, non la lingua.”
Amen.
LdF
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