giovedì 8 novembre 2012

da blog2piazze, novembre 2008

Conosciamo poco gli Stati Uniti. Ora poi sono cambiati, dicono i media: si vede dalla carnagione del presidente. Anzi la grandezza degli Stati Uniti, dicono, sta proprio nella capacità di cambiare. Ma cambiare è un merito solo in relazione a quello che c’era prima. A una bella donna in sottoveste nessuno direbbe: cambiati. Segno che ciò che c’era prima, per continuare la metafora, era una racchia vestita di stracci. Che gli statunitensi avevano scelto fin dal 2000. Nel 2004 neanche i documentari di Micheal Moore avevano evitato la conferma. E forse la generazione di pazzi che la guerra riconsegna loro non sarebbe bastata agli statunitensi per ravvedersi se in questi giorni non avessero dovuto fare i conti, sulla punta dei loro moncherini di reduci, con la crisi. È dal crollo delle borse che il gradimento di Obama si è impennato. Hanno dovuti essere sloggiati dalle loro villette, sollevati dai loro divani, gli statunitensi, per votare un colored. Negro cioè; eppure si stima che il tre per cento di essi, al momento di indicare una faccia - anche con questo metodo da scimpanzé si vota da quelle parti – si sia sbagliato. Si vede che sbagliando s’impara però, perché questa grande nazione multietnica e globalizzata a Obama ha dato meno voti di quanti ne abbia dati ai senatori del suo partito: qualche elettore cioè ha votato per i democratici nelle elezioni del senato ma non per Obama alle presidenziali, che si svolgevano contestualmente. Segno che il colore della pelle ancora conta, per qualcuno. Quanto sono cambiati, allora gli Stati Uniti? Molto dirà chi guarderà le strisce blu che sulla mappa del voto assediano i grandi stati centrali rimasti in mano repubblicana. Per nulla chi farà caso ai referendum che negano i matrimoni gay dove già vigevano. Non così tanto dirà chi noterà che la proporzione dei voti di Obama e McCain ricalca quella dei fondi che ognuno ha saputo procacciarsi. È grazie ad essi che Obama ha potuto spezzare la dinastia Clinton e quella Bush, è grazie al maggiore finanziatore della campagna elettorale che un afroamericano può parlare di energia verde. Verde come il dollaro.

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