Il Manifesto è in crisi. Tra tre mesi, come sempre negli ultimi trenta anni, potrebbe chiudere. Lo ha annunciato Valentino Parlato, una dei fondatori, che come sempre ha chiamato alla mobilitazione, scrivendo che, col taglio degli aiuti all'editoria e con la situazione politica attuale, questa crisi potrebbe essere definitiva. In passato è calata la foliazione, stavolta è aumentato il prezzo, altre volte sono usciti numeri unici da 50 euro e si sono aperte sottoscrizioni. Perchè leggere il Manifesto, "quotidiano comunista", come recita la testata, è anche appartenere ad una comunità. Sempre più esigua, però, perchè le copie vendute negli ultimi decenni si sono dimezzate.
Rossana Rossanda, una delle fondatrici, viene insignita dell'Ambrogino d'oro, ma intanto, da anni, lavorare per il Manifesto ed essere pagati entro un trimestre è quasi un'impresa.
Non servirà, supponiamo, a svecchiare il giornale, a farlo evadere dagli occhiali di pochi intellettuali, a renderlo utile, oltre che interessante. Perchè un quotidiano che, come si dice in gergo, chiude alle 20.00, quando arriva nelle edicole è già buono solo per incartare le uova, per usare un'espressione di Luigi Pintor.
Dall'ex direttore sardo in poi tanti, tra le rotative del giornale si sono formati: da Barenghi a Lucia Annunziata all'ex ministro Frattini.
Spiace anche per questo, in un'epoca di mediocri pennivendoli, che una palestra di stile e rigore rischi di abbassare la saracinesca.
O riesce a prendere esempio da un giornale come Il fatto quotidiano, altrettando povero, meno elitario e più combattivo, o il Manifesto smetta la sua opera di testimonianza, chè la rivoluzione non è un pranzo di gala.
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