domenica 4 ottobre 2009

Stampa Alternativa si interroga sulla traduzione

San Gerolamo e il leone nello studio SPARIAMO AL TRADUTTORE?

Il 30 settembre, era San Gerolamo, il patrono dei traduttoriPrimo traduttore della bibbia dal greco e dall’ebraico al latino vissuto intorno al 350. È sotto il suo auspicio, dunque, che proponiamo di aprire un fuoco su questioni laterali alla scrittura. Voglio, per così dire, aizzare il lettore a dare il peggio di sé, a iniziare sparando sul traduttore, come sempre si fa. La sfida vera è invitarvi a farlo dimostrando di essere superiori: ma che cos’è un traduttore e che cosa vi aspettate da lui (lei)? Qual è la sua responsabilità? E che vuol dire essere un bravo traduttore? Ma ci fate mai caso al nome del traduttore quando leggete un libro straniero volto in italiano? (...)

Diciamo la nostra su http://www.riaprireilfuoco.org/blog/?p=289 DC

11 commenti:

poldino ha detto...

Leggere un testo, magari una poesia, tradotto in una lingua straniera di solito mi dà una sensazione straniante. Per chi ha respirato l'atmosfera e il vento di un colle "ermo" come quello dell'Infinito di Leopardi, qualsiasi traduzione sa di aria condizionata. Quindi a mia volta, quando ho apprezzato ad esempio Ray Bradbury in italiano mi sono chiesto se somigliassi a uno che guarda la Gioconda appesa a testa in giù e dice che è un mirabile esempio di astrattismo.
Allora, per quanto sia bravo il traduttore, a che serve il suo lavoro?

fabio r. ha detto...

bel tema, e bella "vexata quaestio".. che richiederebbe interventi lunghi e poco adatti ad una risposta da blog..
Io me lo chiedo sempre, essendo (parzialmente) parte in causa e non ho ancora una risposta!

Mata Hari ha detto...

Io ho postato il mio commento.....
Certo che applicare la moderazione preventiva mi è sembrato eccessivo !

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Premettendo che non sono “una addetta del mestiere” ma solo una lettrice!
Se uno ha bisogno di un traduttore, per il greco, il latino o le lingue straniere …. Come fa a dimostrare di essere superiore?

Quindi si trascuri pure il mio commento da “profana”……
Ma mi permetto di scriverlo perché anche chi è del mestiere sa di non essere onnisciente .


Il tema comunque non propone nulla di nuovo…

Era un dubbio anche di Cicerone come fatto notare dall’autore….. il quale ad una traduzione brutta ma fedele ne sceglieva una bella anche se infedele…. Che trasmettesse, che pulsasse, che fosse viva!

Per quanto mi riguarda, un traduttore di libri deve essere per forza essere un “esperto in lingua” , deve sapere tradurre un detto o un modo di dire dalla lingua in cui è scritto il testo, deve avere la capacità di trasmettere il pathos , la carica emotiva e di commozione del testo….

Considerato che i postanti su questo blog sono italiani ( almeno per la maggior parte)faccio notare che considero diverso il caso di una “parafrasi” , ad esempio della Divina Commedia.

Grazie a Donna Cannone per la segnalazione…. Ma è un discorso che non è alla mia portata.
E correrei il rischio di esprimere considerazioni fuori luogo!

DS ha detto...

il traduttore è il vero protagonista. l'ho compreso solo in questo weekend magnifico a ferrara.

Donna Cannone ha detto...

Tommi per piazer - non so che cosa ti abbiano detto a Ferrara ma ti posso garantire che gli organizzatori sono dei VIOLENTATORI DI TRADUZIONI. Parliamone, per piacere....!


@Poldino: condivido e qualsiasi cosa io scriva qui in risposta mi sembrerebbe banale rispetto alle tue osservazioni. Dirò che là dove non riesco ad arrivare con le mie lingue - tipo se leggo un romanzo russo, mi chiedo sempre che cosa mi sto perdendo senza saperlo. Ma questa domanda rischia di diventare un disturbo di sottofondo ancor maggiore... Un po' di fiducia al traduttore gliela bisogna dare :-p

Donna Cannone ha detto...

Segnalo un articolo che riguarda anche traduttori e interpreti:
“La storia Non hanno un Ordine professionale, in media lavorano 120 giorni all’anno
Professionisti a rischio, sindrome da Quinto Stato
Dai designer ai consulenti, le fasce senza welfare. Gli architetti: pacchetto anti-crisi per le categorie
Tra i professionisti si considerano di gran lunga i più moderni e flessibili, «la classe creativa», ma guadagnano meno di un lavoratore dipendente, per anni hanno pagato persino l’ Irap e a fine carriera li aspetta una pensione da fame: 500 euro. Sono il Quinto Stato. Informatici, consulenti, pubblicitari, ricercatori, designer, ma anche formatori, traduttori, grafici, interpreti e persino archeologi. Tutti professionisti con partita Iva, di età tra i 30 e i 49 anni, senza uno straccio di Ordine che li tuteli, come ce l’ hanno invece avvocati, medici e architetti. (….) un consulente del Quinto Stato riesce a lavorare per 180 giorni l’ anno, ma è considerato un exploit perché la media è tra i 100 e i 120. Una delle criticità maggiori sta nel decidere quanto farsi pagare (…) Il timore di trovare un committente che non paga: nel campo dei traduttori il rischio è così elevato che gira una «black list» di aziende morose dalle quali è meglio tenersi alla larga. Racconta Alfonso Miceli,
vicepresidente di Acta: «Quando hai a che fare con l’ufficio acquisti di una grande impresa c’ è poco da fare, decidono loro quanto pagarti. Ma con le piccole è diverso. Cercano la persona giusta e vogliono i risultati, il prezzo diventa secondario». (…)
Quasi tutti i «professional» hanno lo studio in casa così possono detrarre metà spese d’affitto ma siccome i committenti pagano a tre mesi, devono comunque avere un fondo-cassa di almeno 10 mila euro per poter anticipare le spese di un prossimo lavoro. (…)
L’obbligo è quello di essere sempre aggiornatissimi, se uno «perde» le ultime tendenze del mercato a cui appartiene diventa obsoleto. Per evitare la retrocessione intellettuale un consulente coscienzioso investe continuamente sul suo know-how e d’estate se ne va a scuola da un guru straniero pagando migliaia di euro o di dollari. (…) In mezzo a tante difficoltà gli uomini e le donne del Quinto Stato tengono duro grazie a una forte dose di autostima. Non si considerano nemmeno per un momento dei precari del terziario avanzato, tutt’altro. Pensano di essere la punta avanzata della modernizzazione. Il loro mentore è il sociologo americano Richard Florida che ha individuato proprio nella classe creativa la base del nuovo capitalismo. E anche chi in Italia, come il professor Sergio Bologna, ha studiato il fenomeno ne ha sottolineato il binomio «flessibilità e innovazione». «Il lavoro autonomo delle nuove professioni - ha scritto - è un fattore insostituibile di generazione e diffusione di dinamiche innovative».
Anche perché devono conquistarsi di continuo l’autorevolezza, «mentre un professore universitario, ottenuta la cattedra, può anche smettere di leggere e non cambia niente». (...) I nostri professional versano per la pensione alla gestione separata dell’ Inps il 26% dei loro introiti e si vedono restituiti molto meno. Esiste una casistica da choc: lavoratori con 30 anni di contributi hanno calcolato il loro prossimo assegno mensile e hanno saputo che «godranno» di una pensione mensile tra i 500 e i 650 euro! Ma non è tutto: per i giorni di malattia la diaria riconosciuta è di 18 euro e scatta solo in caso di ricovero ospedaliero.
Più tutelata (relativamente) è la maternità: alla neo-mamma vengono riconosciuti cinque mesi di paga ma deve interrompere di botto tutti i rapporti e le consulenze aperte. Così quando vorrà ripartire dovrà farlo dal «ground zero».
Dario Di Vico
L’articolo è qui:
http://archiviostorico.corriere.it/2009/settembre/26/Professionisti_rischio_sindrome_Quinto_Stato_co_8_090926037.shtml

Mata Hari ha detto...

Assurdo poi che l’articolo sia stato pubblicato dal corriere della sera….

Ma scusatemi.. le varie AITI, ANITI, IATI, ma soprattutto i sindacati SITL e SNS che cavolo fanno?

Anonimo ha detto...

La ringrazio per Blog intiresny

Anonimo ha detto...

Perche non:)

Anonimo ha detto...

La ringrazio per intiresnuyu iformatsiyu

Anonimo ha detto...

La ringrazio per Blog intiresny