Ho trascorso il finesettimana a casa di un'amica, in una cittadina della pianura padana.
Una mattina mi sono svegliata al suono delle campane.
Forse proprio il riproporsi delle solite cose in un posto diverso a volte le rende particolari.
Le fa balzare all'occhio. O all'orecchio.
Anche quando – bambina – mi portavano a messa e senza rendermene conto seguivo i riti di una comunità in cui oggi non mi riconosco, non distinguevo che ora fosse dal suono delle campane, e oggi come allora non ne colgo il significato – di volta in volta funereo, natalizio o pasquale.
E poi, domenica, – un momento di joyciana epifania. Come in un'illuminazione ho compreso che non solo le campane non hanno per me alcun significano, ma che nessuna bellezza, valore, o intuizione profonda sul significato pesante della leggerezza dell'essere umani è scandito nell'aria dai loro batacchi.
Semmai il contrario. Ho colto distintamente – come in lucido scenario orwelliano – che mai finchè sarò in vita si darà un paesello italico senza campane.
La loro secolare presenza si dà ad oggi per scontata e ben accetta. Necessaria o significativa.
Giammai per invasiva o imposta a chi non ne condivide l'uso e il senso, o semplicemente a chi ne farebbe volentieri a meno.
Siamo certi che questo Paese, con una chiesa almeno nel cuore di ogni centro abitato, sia rappresentativo della sua attuale popolazione? Quanto sarebbe più aderente alla realtà – che oggi non è più una compatta comunità cattolica, bensì miscela di etnie, nazionalità, lingue, culture e religioni diverse – risvegliarsi in un paese senza campane?
Un cordiale saluto,
La Donna Cannone
giovedì 3 maggio 2007
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