martedì 26 febbraio 2008

A Trento la logica frana

Se fossimo bravi con la logica, faremmo i politici.
Premesso questo le scavatrici che scavano nella collina per fare delle case col risultato che su di una casa frana una collina una loro logica ce l’hanno.
In questa, come in ogni decisione, c’è sempre qualcuno che ne ricava un giovamento. Alle spalle di qualcun altro, s’intende.
Così viene naturale capire colui che ha preso quella scelta da che parte sta.
Perciò non ci sorprende che il comune di Trento, come annunciavano i giornali, abbia adottato un “giro di vite” contro i pedoni. Ci sarebbe da ridere di che mentalità, meccanica, emerga da quell’espressione, che già da sola rileva un pensiero da SUV. I pedoni girino alla larga, senza rompere. E pene più severe per chi attraversa fuori dalle strisce: quei malviventi col passeggino, quando non col bastone e i capelli bianchi.
Se fossimo bravi con la logica, dicevamo, faremmo i politici.
Appartiene allo stesso sistema di pensiero la decisione di restringere il regolamento per gli artisti di strada. Che girovaghi, violinisti, giocolieri siano soggetti ad una regola è un'altra delle cose che starebbero bene in una barzelletta; o in un dramma. Perché quelle per loro, come quelle per i pedoni, sono norme discusse e votate sul serio. Il roteare di birilli in area, la fissità dei guitti che ammiccano, le note dei musicisti all’angolo pare infastidiscano l’aristocrazia del centro. La scelta, stavolta, è tra la pagnotta ad un artista e l’uggia della signora dell’attico.
Da che parte starà chi decide, (a rigor di logica)?

Luca De Feo

lunedì 25 febbraio 2008

Cosa resta del Trentino


Roma, l’antica Grecia, il cristianesimo delle origini avevano valori diversi. Ne discendevano società e opere letterarie che ne sono lo specchio. “Ama il prossimo tuo come te stesso” è una frase che non potremmo immaginare nel foro né Cicerone avrebbe mai pensato che il vero sapiente è chi sa di non sapere.
Come si sa, il valore fondante del Trentino è la nettezza urbana. Da qui quella sublime sintesi poetica che ci fa leggere su di un cassonetto in Valsugana: “Imparate a buttare l’immondizia perché qui non siamo in Campania.”

Dai valori, dicevamo, deriva tutto un sistema di pensiero e la struttura stessa di una società. A Roma costruivano Acquedotti, in Grecia anfiteatri, insomma. In Trentino, riportava l’Adige di pochi giorni fa, si registra il maggior numero in percentuale di incidenti automobilistici per alcol e droga.
Proponiamo quindi che sugli altarini ai lati delle tangenziali, insieme agli indubbi meriti di una vita di cui i congiunti piangono la perdita si aggiunga una postilla: lascia una moglie e due figli; sulla strada solo un po’ di segatura.

http://www.ecodallecitta.it/index.php?id=8807

Luca De Feo

domenica 24 febbraio 2008

Torcia umana in Campidoglio

A distanza di 38 anni, a cavallo fra S. Ambrogio e il Carnevale, in due capitali europee, la passione politica è divampata al punto da spingere due persone a cospargersi di benzina e darsi fuoco per le proprie idee.

Cos’hanno in comune Jan Palach, arso a Praga nel gennaio 1969, e Peinda Kebe Gotha, bruciata a Roma nel dicembre 2007?
Jan http://blog2piazze.blogspot.com/2008/02/torce-umane.html era uno studente praghese di 21 anni, attivista politico, orfano di padre e molto legato alla madre. Si diede fuoco in piazza S. Venceslao il 21 gennaio 1969.
Peinda era un’immigrata senegalese di 39 anni, moglie e madre di 3 figli, residente a Concesio (BS), attivista del Partito Democratico senegalese. È morta il 30 dicembre 2007, dopo essersi data fuoco a Roma, in Campidoglio, il 7 dicembre.

Con la comunità senegalese residente in Italia, Peinda aveva sostenuto la candidatura dell’attuale premier senegalese Abdoulaye Wade e il 7.12.07, con altri attivisti, aveva raggiunto Roma per incontrarlo. Lui non ha voluto vederla e Peinda, per protesta, per ribadire l’affermazione dei diritti degli immigrati senegalesi in Italia e la democrazia nel proprio Paese, prima si è buttata dalla scalinata del Campidoglio, poi si è cosparsa di benzina e si è data fuoco. È morta 23 giorni dopo, in ospedale. http://www.quibrescia.it/index.php?/content/view/3812/5/


Frugando fra le ceneri dei corpi e i recessi dell’animo.
Lo sguardo di Jan. La perplessità per il gesto di Peinda. Il dubbio che la storia non sia cambiata. L’incapacità di immaginare la reazione della madre di Jan, del marito e dei figli di Peinda, prima ancora che aprire insondabili interrogativi sulla Storia, suscitano in me una domanda semplice, a cui non so rispondere: come reagirei se il mio compagno, mia madre o mio fratello, manifestassero l’intenzione di darsi fuoco per cambiare il mondo?
Prima ancora che a rovistare nelle questioni politiche che hanno animato queste persone, mi soffermo a riflettere sulle loro esistenze; sul loro senso della vita e della morte, che credo molto diversi dai miei; da un lato potremmo ipotizzare addirittura una devianza, o un super-ego talmente forte da imporsi in modo dolorosamente inquietante; all’estremo opposto, potremmo riconoscere nel loro significato di “politica” l’espressione di un amore sconfinato per i propri compagni umani, concittadini o connazionali; la ricerca o tutela di un bene comune diffuso, al punto che, se assente, una singola vita cessa di avere valore, se non come strumento di protesta infuocata.


Il Festival di Sanremo fa più clamore
E traccia un solco più profondo nella memoria di milioni di italiani.
Mi lascia perplessa e incredula che Peinda non abbia bucato lo schermo, scosso il Paese.
Mischiate al profluvio di notizie battute ogni ora, le ceneri della sua protesta infuocata le ha sparse il vento invernale; 10 righe di ANSA fagocitate con purè, cotechino e panettone.
Non era idonea alla manipolazione, nè – tantomeno – alla spettacolarizzazione (intese come modalità con cui i mass media attirano, alterano e gestiscono la nostra attenzione).
A differenza dell’omicidio di Erba o di Cogne, testimonianze terrificanti di lotta a disagio, sfruttamento e spregio dei diritti umani che leggiamo in storie come quelle di Jan e Peinda, scevre di particolari morbosi, vengono provvidenzialmente superate, scartate, dimenticate. Il flusso ininterrotto di informazioni ci assuefa e anestetizza.
Una riprova? Nessuno ve ne chiederà mai conto, neppure in un quiz televisivo. Ricordare il nome di un vincitore del Festival di Sanremo, invece, può tornare utile, e persino far vincere qualche migliaio di euro.

venerdì 22 febbraio 2008

martedì 19 febbraio 2008

Torce umane

Il museo del comunismo http://www.muzeumkomunismu.cz/
è in pieno centro a Praga. Pare sia unico al mondo.
Sta sopra un Mc Donald, a lato di un casinò, vende magliette griffate ed ha un bookshop. Aperto nel 2001 (o 2002?) da un imprenditore americano, titolare di negozi di bagel ebraiche a Praga, è un business in piena regola. Fortemente di parte. Un po’ scarno, superficiale e propagandistico. Induce a pensare quanto si sta bene nel capitalismo mostrando alcuni aspetti aspri e corrosivi del comunismo; propaganda tipica da americano medio. E io che quasi temevo che mi avrebbero chiesto nome e cognome, all’acquisto del biglietto... Ponf! Schedata… (e adesso chi ci torna, in Italia, mo’ che risorge anche il Berlusca?)


Da sempre subisco uno strano fascino per i Paesi comunisti (ora ex); immagino aurore orwelliane, una patina grigia che avvolge segreti, squallore e sudore timoroso, strisciando fra le pareti di casermoni sovietici. Mi rammarico di non averne visitati quando era ancora spessa e pesante la cortina di ferro. Di un lontano viaggio in Jugoslavia riaffiorano al ricordo solo un bellissimo bambino biondo, un lampione minaccioso nel temporale e cioccolata con vermetti bianchi sugli scaffali semivuoti di un negozietto chissà dove.

Poiché sono assai ignorante in storia e politica, certamente molte cose mi saranno sfuggite, nel museo. Ma certo non sono sfuggita io all’angosciante e ferocemente raggelante sguardo di Jan Palach http://www.janpalach.com/, studente di 21 anni che nel 1969 si diede fuoco in piazza S. Venceslao per protesta contro il comunismo: una foto verdastra ne ritrae il viso bruciato, le palpebre - socchiuse e senza ciglia – lo fanno sembrare ancora vivo, in attesa sotto il lenzuolo. Sembra guardarti e interrogarti: lo cogli, il senso del mio gesto? Tu, che giungi ora dalla strada, alle 20.03 del 17 febbraio 2008, lo cogli il senso del mio gesto? Dimmi che ha avuto un senso. E che non sono morto invano. Che questo mondo è cambiato. E che non mi ha dimenticato.

Il suo viso mi ha strappata al sonno, alle 2 di notte. Sola nella stanza d’albergo, proiettavo nel buio la paura: la paura di morire, di una morte assurda, di un mondo che cambia, la paura di non aver capito, di non meritare la sua morte. Oppure, forse, di capire e dover quindi, inesorabilmente, condividerne le scelte? Induceva un timore fosforescente, scalpitante.

Per me, abituata a osservare e condannare gli effetti collaterali del capitalismo, di cui mi pascio e in cui pecco, per me che fallisco reiterati tentativi di resistervi, è inconcepibile leggere con occhi praghesi post-comunisti le scritte inglesi e le catene di franchising, assaporare gli hamburger e mescolarmi ai turisti ficcanaso.

Avrei voluto parlare con qualcuno, chessò, un ex poliziotto del regime. Capire come si è tolto la divisa, scivolando in una vita occidentale. Se la famiglia, i vicini di casa, gli ex colleghi lo hanno insultato, rinnegato, invidiato.
Invece, ho raccolto solo un paio di commenti di giovani praghesi. Troppo giovani per sapere o ricordare. Il resto, lo posso solo immaginare.. cercando di spiegarmi perché, lontano dal centro, sola e disorientata in una città di cui non conosco neppure l’alfabeto, i praghesi più anziani che cercavo di fermare chiedendo informazioni in inglese, mi sfuggivano, si schernivano, fingevano di non avermi visto, sentito, capito.
Si narra che nell’era comunista fosse reato non denunciare sospetti di sovversione e tradimento. Il mio primo pensiero è stato che i passanti fossero ancora intimoriti; che ancora oggi non si fidino, non vogliano essere visti, fermati, notati, riconosciuti. Che forse una sverniciata occidentale di Zara, Benetton e Bata, può fornire un comodo nascondiglio dove cullare sogni, ansie e timori mentre annusi l’aria per capire come, ancora, cambierà questo mondo. Se veramente la censura è scomparsa, se vale la pena mettersi in gioco, seguire la storia, abbracciare il cambiamento. Barattando magari una morte da torcia umana con uno schianto da Saturday Night Fever al volante di una ruggente auto fiammante. O è preferibile una moderna overdose?

sabato 9 febbraio 2008

Sua Maestà Nessuno (o il fascino di Don Lurio)


Per una vorace curiosa dell’animo umano come me, ieri è stata una serata profittevole. Allegra come una monella sono andata a una festa di Carnevale a Pergine, pregustando on the way un privato senso del proibito, visto che siamo già in quaresima!
Dopo la festa sono andata a bere qualcosa con delle amiche; fuori dal pub ho incontrato un ex collega inglese. E proprio qui viene il bello! Un’albagia britannica che subito mi ha riportato alla mente quello che fra me e me chiamo “effetto Don Lurio” (o Heather Parisi, Mike Bongiorno, sorelle Kessler, o molti altri).
Mi spiego: ho sempre avuto il forte sospetto che se Don Lurio e Heather Parisi fossero rimasti a ballare e cantare negli States, come dire?…. non se li sarebbe cacati nessuno.
In Italia, invece, con una spruzzata di accento americano, qualche parola inventata e una erre arrotolata, il gioco è fatto. Da emeriti Signori Nessuno in cerca di fortuna, in Italia sono diventati STAR!
Con una certa scaltrezza, - va detto -, questo ex collega inglese e vari suoi connazionali che ho incontrato, (insegnanti di inglese, alcuni con qualifiche più o meno vaghe), fanno lo stesso giochino, anche se fra persone comuni. Dunque, forti di un accento inglese che non si attenua, della capacità di pronunciare “Bud-Weiser” e di capire al volo i testi degli Oasis, se la tirano un casino. È comprensibile: l’italiano medio ambisce a parlare bene l’inglese, ma clamorosamente fallisce.

Semmai poi, chi se ne frega se questi britannici non hanno un cazzo da dire, in nessuna lingua? Se dopo 10 anni biascicano un italiano aberrante? e se, come nel caso del mio ex collega, sprizzano l’umanità di un porta-ombrelli? Sono fichi così. E più ci si sentono, più la gente se ne convince. A questo punto vorrei capire le donne che come corte di damine gli sbavano dietro, pur in soggezione. E vorrei sentire il parere degli uomini, schiacciati da un faticoso senso di inferiorità da alleviare nell’alcohol.

Vojo dhui lictttriiiiii dhiiii latcei por piacerroi
È evidentemente un popolo d’èlite: dall’incedere regale e dal maestoso pensiero; fulgido portatore di civiltà su cui radicano e l’ex impero indiano e la moderna società occidentale tecnologizzata. Per tramite di una lingua che oggi tutti dobbiamo conoscere. Ricordo un ex collega inglese, insegnante a Trento molti anni fa: un giorno mi raccontò che dava per scontato che tutti gli parlassero in inglese, qui; e perché mai avrebbe dovuto imparare un’altra lingua, lui?
….. In effetti, è meglio che lascino perdere. I suoi tentativi non erano coronati da successo e ancora mi scompiscio quando penso al corso di spagnolo che seguivo in Inghilterra: fra i suoni distorti emessi dai compagni britannici e le ipotesi vaneggianti per comprendere concetti grammaticali come la differenza fra il genere maschile e femminile applicato agli oggetti, ogni volta mi scagliavo fuori dall’aula come uno Sputnik piegata in due dalle risate – scene convulse che la povera maestrina spagnola avrebbe tanto desiderato condividere. Era un piccolo cottolengo d’élite, I tell you!


Resonant glass*
Dunque oggi, lungi dal subire il fascino di certa scialba presunzione e noiosa condiscendenza, di fronte a questo elemento fenomenale dalla carnagione simil-merluzzo, penso (e ipotizzo con buon margine di probabilità) che spesso in patria sono falliti o emeriti sconosciuti senza grandi chance; senza malizia, è evidente che in Inghilterra sapere l’ABC dell’inglese e dire “Bud Weiser” non è ammaliante dote paranormale, né ti spalanca le porte su una carriera di successo.

Se ne incontrate, Vi invito a smascherarli, a non farvi aggiogare dalla loro supponenza. Semmai, sfruttateli ben bene per rinfrescare il Vostro inglese, datevi un tono da italiano ben pasciuto, chessò, emulate l’aplomb di Lapo El Kan, senza timore dei congiuntivi!

Un cordiale saluto,
La donna Cannone


(*vetro sonoro)

Inghilterra – Brasile: derby del cuore nell’era della globalizzazione


Invece della solita acqua tonica, per una annojata analcolica come me, l’esuberante cocktail exotic fruit, che fa pensare a labbra carnose di un bacio succulento sulla spiaggia o cullati dall’oceano, è stato un toccasana per cancellare la presunzione dell’ex-collega inglese stoccafisso. Vi dirò, rispetto al mio ex collega, (per quanto più basso), Don Lurio sapeva fare la spaccata!



Dalle scogliere di Dover al Pão de Açucar
Fra le suggestioni solleticate dal cocktail esotico, il pensiero è andato al modo di corteggiare di certi uomini brasiliani, (con generosa estensione al continente latino-americano): ho sentito raccontare manifestazioni subitanee di passione travolgente, attestazioni di poetica devozione, promesse di farti sentire una regina, massaggiarti, coccolarti e cucinare per te. Di non accontentarsi di un sogno, lasciare tutto per stare con te…. vulcani in eruzione di poetica lava avvolgente. Fin troppo - per le moderne, razionali, emancipate donne italiane?
In questo derby del cuore, di cui poco capisco, noto, però, che l’irrazionale caliente talvolta ci spaventa, mentre l’algido figo irraggiungibile induce all’adorazione.
Insomma, l’interrogativo si ripropone, in questa epoca di globalizzazione che tocca anche il cuore… Ci sciogliamo per chi mantiene le distanze, adoranti, cotte in brodo di inadeguatezza e giuggiole? Addentiamo panetti di competizione con altre donne, ci rodiamo il fegato ripetendoci non-sarò-mai abbastanza-bella-buona-elegante-intelligente per piacerti nei secoli dei secoli? Oppure crediamo e cediamo alla poesia e alle lusinghiere promesse esotiche?
O ancora: e se invece preferissimo un uomo “medio”, né bello né brutto, né brasiliano né inglese, né creativo o poetico o distante; semplicemente, un brav’uomo che ci dia sicurezza, ci tenga la mano, sia un compagno ed un complice, anche se proprio non ci fa sognare?
Mi piacerebbe sapere quale, di questi approcci maschili, piace alle donne italiane. …Beh, ridimensioniamoci…. Siccome non mi leggono ancora così in tante, diciamo alle donne del nord? Giovani studentesse, o lavoratrici emancipate? Giovani o mature mogli e madri che forse hanno accanto uno di questi modelli? …. O lo vorrebbero?
E i nostri uomini, che ne pensano? Stanno a guardare, cercano di imitare, o si nascondo nella Playstation? Chi mi aiuta a capire?



Vi attendo, e curiosamente vi saluto.
La Donna Cannone

PS: chi vuole, può anche scrivermi privatamente

martedì 5 febbraio 2008

Fioretti moderni

Parlare di ambiente e della sua tutela, fare gli impegnati, i responsabili, è diventato di moda.
Spesso di facciata. Facile riempirsi la bocca di generiche affermazioni ed intenti. Da Al Gore con il suo (discutibile) “documentario”, volàno di ritrovata fama politica e di Premio Nobel, alla Commissione giustizia e pace, troviamo un interesse trasversale per l’ambiente e una sollecitazione a ridurre il nostro impatto su di esso. Benissimo. Proprio la Commissione giustizia e pace, (che mica lo so chi è, ma siccome il giornalista de L’Adige non me lo spiega, la lacuna dev’essere mia) propone per il 6 febbraio, mercoledì delle ceneri il “digiuno dall’auto in quaresima”: l’anno scorso riflettevamo su come l’uso dell’auto nella situazione attuale è (sic) fonte di stress, e, ciò che è peggio, strumento per sentirci persone importanti, che sanno affrontare la vita, che riescono ad essere davanti agli altri (…)”.

Dunque l’auto come fonte e strumento di peccato, superbia, autodeterminazione, gratificazione, soddisfazione e vanagloria del nostro super-io. Evidentemente, rifletto, se la preoccupazione centrale è un uso smodato dell’auto, tutto il resto è a posto. Penso all’amore per il prossimo, la fame nel mondo, la lotta allo sfruttamento, un aiuto ai senza dimora…. Da un giorno all’altro, vivo nel migliore dei mondi possibili, circondata di anime pure e belle …. tutto è risolto e manco me ne ero accorta! Evidentemente lavoro troppo e non sempre seguo il TG.


Vado oltre, e trovo nell’articolo un altro spunto interessante: l’astinenza dall’auto viene proposta anche come strumento di salvaguardia dell’ambiente; nel nome dell’amore per le future generazioni. E qui, a dire il vero, “mi perplimo”: sarà, ma se mi guardo intorno, a volte tanta ciancia sulla salvaguardia delle generazioni future mi sembra una scusa, un’astrazione e un modo per svicolare dall’amore e concordia con i vicini di casa, i concittadini stranieri, la responsabilità sociale della morte di un senza-tetto, l’aberrazione degli stupri di gruppo e dei neonati nei cassonetti, degli anziani turlupinati e rapinati in casa. Tutto contemporaneo, simultaneo alle nostre esistenze; pulsanti disagio e sofferenza proliferano, sono fra noi.
Mi sorge il dubbio; forse una riflessione più seria della rinuncia all’auto fino al 23 marzo potrebbe indurre a volgere lo sguardo verso l’altro. E la vista sarebbe insostenibile. Dopo aver visto, guardato, conosciuto, toccato, ascoltato indigenza-sofferenza-disadattamento-povertà, non puoi chiudergli la porta in faccia, sciacquarti la coscienza prendendo l’autobus. Le future generazioni che erediteranno il pianeta, invece, forse non le incontreremo mai: facce anonime, vite future, presenze meno scomode. Insomma, sospetto che risalendo in auto per ripararci dalle piogge di fine marzo, il ronzio del traffico ci aiuterà a dimenticarle.

Un saluto perplesso,
La Donna Cannone

E voleremo in cielo in carne e ossa


....non torneremo piùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùù


lunedì 4 febbraio 2008

Tallone di bue con patate flambè

Usciti dal sottobosco delle angherie che avviluppa Ana e Nicoleta, le vediamo dirigersi al lavoro, tornare fra mura domestiche estranee. Rivolgiamo lo sguardo al paese: viuzze e pertugi contrattuali, piazzette su gàbole scaltre. Personaggi come i datori di lavoro di Ana e Nicoleta stanno appollaiati sul caldo pagliericcio di piccole o medie imprese locali, nel nido delle famiglie più ricche del paesello. Come altre località turistiche, anche C. pare il gioco del Monopoli: rami della stessa famiglia posseggono bar, hotel, pizzerie, appartamenti per locazioni turistiche, lavanderie, negozi di articoli sportivi e abbigliamento, noleggi di vario genere. Invidie e diatribe fra cugini e fratelli alimentano i pettegolezzi del paese, fratelli e sorelle si stringono nell'impresa escludendo mogli e mariti. Piccoli paesi divisi da una striscia di prato, biotopo o vecchio pasturo, si contendono turisti, riserve di acqua, km di piste e fondi provinciali. Spalle al muro (dell'ignoranza)…… "Caught between a rock and a hard place" cantavano i Rolling Stones per significare un difficile stallo. Così tanti conterranei di Ana e Nicoleta impiegati qui sono schiacciati da poca umanità e oppressi da sfruttamento. Anche nel magico mondo alberghiero. Dietro il sipario, registi dell'economia dell'hotellerie smascheriamo presto ipocrisie, mentalità ottuse e refrattarie alla conoscenza, al confronto e alla professionalità. Purtroppo molte realtà che vantano in brochure patinate gestione e trattamento famigliare, cordialità, ospitalità e coccola al cliente, viste da vicino sono meno affascinanti. Le moine sono riservate all'ospite pagante. Non importa se la chiacchiera si scioglie come cerume nell'orecchio disattento su un cranio che annuisce; se dopo la partenza scivola fuori per sputtanarti con la segretaria. Sfuggente, compiacente, ammaestrato. L'albergatore, sovente, con una mano asciuga lacrime di autocommiserazione e con l'altra attinge ai fondi provinciali.
…. o salto nello strapiombo (dello sfruttamento padronale)? L'alter ego dell'imprenditore alberghiero piagnucolone è spesso altezzoso; il potere economico o politico lo ha abituato a sentirsi superiore: ai compaesani più poverelli, allo straniero villeggiante, spesso considerato un sempliciotto da spennare, e al personale dipendente, (per qualificato che sia). Quando è molto ricco o potente, infatti, con l'impresario edile, l'impiantista e il dottore, gode della compiacenza nel paese, dove nessuno se lo vuole inimicare, che non si sa mai e pertanto spadroneggia impunito. Si narrano bieche vicende di aiuto-cuochi, camerieri e lavapiatti stranieri asfissiati dai ricatti: stipendi di 500€/700€ al mese per 10-12 ore di lavoro al giorno e i documenti trattenuti dal datore di lavoro. Per cena gradisce femore di pollo o tallone di bue? Registriamo l'episodio di alcune famiglie estere che chiedono di cambiare hotel per scarsa pulizia e cibo stantio. Ribatte il proprietario dell'albergo "è meglio se se ne vanno, tanto gli stranieri non li vogliamo. Rompono sempre le palle. L'è mejo averghe sempre 'taliani". E ancora: alla richiesta di un cliente straniero di avere del prosciutto a colazione l'albergatore risponde "Non ti capisco. E comunque sei in Italia, devi parlare italiano". Ho sentito albergatori consigliare ai colleghi di comprare pandori, panettoni e formaggi in scadenza, con cui omaggiare i clienti durante le feste; "tanto vara che i fa tuti così e te risparmi!". Forse il maître che non sapendo l'inglese si tocca l'anca, i polpacci, il petto o la coscia per spiegare il menù della sera agli ospiti stranieri, invece è un fuori-classe. Infatti, quando ho proposto all'albergatore di tradurgli i menù, mi ha risposto con sussiego "grazie, ma ci arrangiamo ben". Vieni a ritrovarti in Trentino? Buone ferie.

E' lunedì per tutti.....


Beutelrattenlattengitterkofferattentäter

La lingua tedesca è abbastanza semplice da imparare. Incentiviamo i trentini a darsi da fare per conoscere meglio i cuginetti del nord...
Una persona che conosce un po' di latino e di declinazioni si sentirà abbastanza sicura anche in Germania. Questo è, per lo meno, quello che dicono gli insegnanti di tedesco durante la prima lezione...
Il primo passo è comprare un corso di tedesco, come l'eccellente edizione, pubblicata a Dortmund, che parla della tribù degli ottentotti (Hottentotten). Il libro spiega che gli opossum (Beutelratten) vengono catturati e messi in ceste di vimini (Lattengitter) chiuse.
Queste gabbie, in tedesco vengono chiamate Lattengitterkoffer; e se al loro interno vi è un opossum catturato, si chiamano Beutelrattenlattengitterkoffer. Un giorno, gli ottentotti catturano un assassino (Attentäter) accusato di aver ucciso una delle madri (Mutter) degli ottentotti (Hottentottenmutter), madre di uno stupido e balbuziente (Stottertrottel).
Questo tipo di madre, in tedesco è chiamato Hottentottenstottertrottelmutter e il suo uccisore Hottentottenstottertrottelmutterattentäter. Si deve sapere che quando gli ottentotti catturano un individuo, lo mettono nella cesta per gli opossum (Beutelrattenlattengitterkoffer).
Ma l'assassino riesce a fuggire: inizia la ricerca! Dopo qualche tempo uno dei guerrieri va dal capo: "Ho catturato l'assassino (Attentäter).""Sì? Quale assassino?" chiede il capo. "Beutelrattenlattengitterkofferattentäter." risponde il guerriero. "Cosa? L'assassino che è nella cesta dell'opossum fatta di vimini?" chiede il capo. "Certo!" dice il guerriero "Hottentottenstottertrottelmutterattentäter (l'uccisore della mamma dell'ottentotto stupido e balbuziente)." "Ah" dice il capo degli ottentotti "Fin dall'inizio avresti potuto dire che avevi catturato l'Hottentottenstottertrottelmutterbeutelrattenlattengitterkofferattentäter!".
Come tutti possono vedere, il tedesco è una lingua facile e piacevole....Che aspettate?

Trichechi in amore

Capita a tutti di interrogarsi sulle dinamiche che tengono unite le coppie, o che le fanno unire. Spesso ne dibatto con il mio amico, discutendo i casi della vita di amici e conoscenti. Nel tempo, abbiamo formulato diverse teorie. Alcune delle sue mi soddisfano e convincono. Un paio, in particolare, rispondono bene nel spiegare comportamenti di cui non sempre siamo consapevoli. Un'ipotesi gustosa sostiene che – inconsciamente - ci leghiamo a qualcuno per il modo in cui ci fa sentire, per la parte di noi che vi si riflette o il ruolo che ci consente di assumere. Tendenzialmente, una parte che ci fa stare bene, con cui ci identifichiamo con piacere o che ci eleva socialmente. (Ma non è scontato che il ruolo sia positivo). Un'altra osservazione ha colto l'oscillazione fra due tipologie di partner, di solito in alternanza temporale: dal "tricheco" a "frate cionfoli" e vice versa – dalla femme fatale alla ragazzina acqua e sapone, e poi ancora, dal troglo assatanato al manager rigoroso, dalla casalingua libidinosa alla dirigente rampante e così via, in un'allegra e variopinta carrellata di figurine. Più divertente è quando la vita ci sorprende: troglo rigoroso, manager assatanato, casalingua rampante e dirigente libidinosa. Porno prof. Non male. Mentre il Castello del Buonconsiglio si rifletteva nel parabrezza bagnato e i miei pensieri si rincorrevano come goccioline sul vetro, la brezza ne ha sollevato uno nuovo: forse il mio compagno è come sarei io se fossi uomo, e forse anche per questo mi piace e ci sto bene. Certo, le sue gambe son più snelle. Ma porta il 43…. Siamo sicuri che come donna mi piacerebbe? Del resto, io sarei l'Uomo Cannone, quindi saremmo la coppia più bella (ehm, tonda) del mondo.…. Se ogni tanto inciampate in queste elucubrazioni novembrine, annidate sotto le foglie e avete scoperto altre dinamiche che ci legano, perché non ce le raccontate? Nell'attesa, buona notte.