venerdì 18 settembre 2009

AMBIENTIAMOCI – IL FENOMENO DELL’ECO-MIGRAZIONE

Sembra ormai impossibile parlare di ambiente senza far riferimento ai cambiamenti climatici che stanno avvenendo ad un ritmo ed ad un’intensità maggiore rispetto a quanto inizialmente previsto. Nel nuovo studio In search of shelter (In cerca di riparo) elaborato dall’Università delle Nazioni Unite, dall’organizzazione Care e dalla Columbia University di New York viene messo in luce un nuovo fenomeno globale dovuto al surriscaldamento globale: quello dell’emigrazione ambientale. Secondo questo rapporto, infatti, l’aumento anche di un solo metro del livello degli oceani potrebbe causare il trasferimento di ben 24 milioni di persone lungo le coste delle aree più a rischio come le sponde del Gange o dell’Irrawaddy; l’aumento della desertificazione ridurrà la disponibilità di acqua e terre coltivabili e da pascolo come nella regione settentrionale del Kenya popolata dall’etnia turkana dove da qualche tempo una grave siccità colpisce la regione a cadenza triennale. Globalmente, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM) stima che i migranti ambientali saranno circa 200 milioni entro il 2050, anche se le fonti più pessimistiche parlano addirittura di 700 milioni di esseri umani coinvolti. Inevitabile sarà il moltiplicarsi di conflitti che potrebbero finire per confondersi con le lotte di religione. Secondo alcuni esperti, infatti, i cambiamenti climatici avrebbero già provocato l’inasprimento della guerra nel Darfur favorendo l’infiltrazione di jihadisti nel Sud della Somalia. Come gestire questo nuovo fenomeno? L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) difficilmente potrà occuparsi anche degli “eco migranti” visto l’enorme numero di persone di cui già difficilmente si occupa. Per questo alcune forme di cambiamento climatico, come l’innalzamento degli oceani e lo scioglimento dei ghiacciai, richiedono principalmente interventi governativi su larga scala. Ad esempio, il governo vietnamita sta attuando una migrazione interna forzata di quelle popolazioni che vivono in aree minacciate dallo straripamento di corsi d’acqua e soggette a tempeste violente. Il Primo Ministro etiopico, invece, ha previsto che alcune zone del continente africano diventeranno presto inabitabili ed alla Conferenza di Copenhagen chiederà un risarcimento danni per aiuti elargiti pari a 40 miliardi di dollari. Dunque la portata e le previsioni future portano gli Stati coinvolti e non ad assumere un ruolo da protagonista. Ma l’esperienza insegna che i risultati possono essere raggiunti e i rischi ridotti al minimo solo se anche le popolazioni direttamente minacciate verranno coinvolte ed informate su comportamenti e stili di vita da tenere al fine di coordinare al meglio le risposte che verranno intraprese. Per concludere riporto la frase conclusiva del rapporto In search of shelter: “Namely, that the scope and scale of challenges we face may be unprecedented; but we meet them already having many of the resources—including knowledge, skills and relationships—needed to protect the dignity and basic rights of persons threatened by displacement from environmental change”. di e con Blog Internazionalewww.bloginternazionale.com

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