sabato 5 marzo 2011

150 anni: decisamente troppi. E troppo pochi


















in foto:
orgoglio italiano - pregiate manifatture di scarpini da papa

150 anni dall'unità dell'Italia sono decisamente troppi perché io mi senta emotivamente e idealmente partecipe alla “nostra” storia.

150 anni dall'unità dell'Italia sono troppo pochi per appianare le differenze manifestate dai campanilismi, i rutti leghisti, le mafie bianche e quelle rosse di sangue.

Le pietanze sulla mia tavola assomigliano più a quelle tirolesi, austriache e tedesche, che alle romagnole, laziali o siciliane.
Le mie logiche e le mie etiche, le mie paure e il mio reddito, anche.

Se fossi cittadina in uno stato (realmente) poggiato sul diritto (e sul dovere) – su istruzione, sanità, lavoro, pensioni e sistema fiscale, e laicità, mi sentirei meno orfana.

Vice versa – vivo in uno stato che finanzia la papamobile e scarpini di broccato a chi professa l'esistenza del serpente tentatore. Che paga oltre 10mila euro di stipendio mensile a centinaia di: mafiosi, incompetenti, puttane e clown.

Intanto, nello sfascio variopinto, il reddito medio non basta a comprare casa.
Strano: da quando abbiamo il piede sulla terra, una casa ci serve. Per un po' si è chiamata caverna. Costava molto meno. Con 4 randellate ti conquistavi la migliore. Oggi no.

Quando, alle medie, parlavo “italiano standard” coi campagnoli che muggivano in dialetto, vi era fra noi una palpabile language divide - Solo, non sapevo che si chiamasse così. Tanto meno sapevo leggerla in termini antropologici.

Le migliaia di euro che verso all'INPS sono inutili.
L'italiano medio, e l'italiana media, che, statisticamente, affollano i supermercati quando ci entro, e mezzo parlamento, e i divani davanti alla TV, mi fanno ribrezzo.

Scovo, dietro la tutela di minoranze culturalmente non difendibili, dinamiche di favoreggiamenti economici.
Avverto idiosincrasie rancorose nella diversa gestione dell'autonomia fra Trentino e Sicilia.

La mia identità italiana – cosmicamente casuale – mi è spesso più ingombrante che piacevole. Non di meno, per un connaturato senso etico, rifiuto di gettarmi nella mischia becera. (Non che se ne ricavi molto).

E ambisco a mescolarmi. Ancora. Il più possibile.
Vorrei incontrare, in queste settimane, persone che smascherano l'ipocrisia di un festeggiamento anacronistico: l'unità d'Italia non esiste. Nemmeno nello standard dei trasporti su rotaia.
Al suo posto, un paese schizoide e frammentario – bello e complesso e sfiancante come un  puzzle di Escher.

Mi offrissero di diventare apolide, vorrei sapermi tuffare nella mondialità. Senza voltarmi indietro.
Qualcuno mi vuol spiegare che significa essere italian*?

DC





5 commenti:

Anonimo ha detto...

Non so.Ma questi scarpini sono molto fetish
A.

fabio r. ha detto...

ultimamente "essere italiani" significa per lo più vergognarsi come un ladro quando si è all'estero...

Anonimo ha detto...

Già - e constatare che, por suerte o por desgracia, all'estero lucidamente splende la trave nel nostro occhio più che in patria.
DC

M ha detto...

mi piace l'italianità come emblema del meticciato, alla faccia dei leghisti e di molti altri. L'emblema di un popolo che è frutto della mescolanza, nei secoli, di un saccco di gente, e che in alcuni suoi esponenti ha preso il meglio da tutti.Almeno, per me che amo l'arte e la letteratura, è bello pensare così.
Non mi piace l'italianità come emblema di un paese che non si ama, che non valorizza ciò che ha di unico, bello, buono, e non nasconde ne' corregge ciò che ha di drammaticamente schifoso.
Ecco. :)

Anonimo ha detto...

Ok.
Emerge dalle tue parole la percezione di assenza di cambiamento - che, negli aspetti negativi, genera asfissia.
In quelli positivi, invece, potrebbe essere suscettibile di ulteriore valorizzazione. o no?

DC