Assorta in amorosa celebrazione della vita, non avevo ascoltato ancora una notizia
"Inferno norvegese"
"Il giorno del dolore"
"Lacrime e fiori"
"Talento e eccessi"
"La maledizione del 27"
"Troppa gelosia, uccide la moglie a martellate"
"Incendio a Roma Tiburtina"
"Foto shock"
"La telefonata annuncia la tragedia"
Discutevo poco fa, del perché le notizie brutte e tragiche bucano di più e fanno più clamore.
Fatta la tara sulla manipolazione dell'informazione, sulla diffusione nei numeri e l'ampiezza di aree, non so se questi titoli siano molto diversi dal passaparola di notizie sciagurate, chessò, nel '400?
Perché?
Secondo me, perché ogni notizia di morte ci ricorda quello che ognuno di noi - io, tu, lui, lei, tuo fratello, sua madre, i miei nonni, la mia commessa di fiducia e il tabaccaio, ogni istante dimentichiamo e vogliamo scordare: che ogni secondo vissuto è immotivata inspiegabile illusoria casuale vittoria sulla morte.
Queste urla da titoli, occhielli e strilloni del web, però, rispetto a un rito funebre del '400, dicono la nostra paura - ormai patologia - nell'illusione di restare giovani, sempre.
Sani, perennemente.
Orgiastici nel piacere interminabile, e smodatatamente.
Immortali, magari sul web.
Non è così. Moriremo tutti. Alcuni di noi adesso, altri stanotte, qualcuno domani e per sempre.
E forse non è un caso - dunque - che queste urla di morte schiamazzino più forte a luglio e agosto, mentre ci rotoliamo sotto il sole satolli di pesce gelati angurie occhieggianti fra nuovi flirt seminudi ammiccando sudati nella licenziosità di meritate ferie che ci ricordano il gusto di vivere.
DC
2 commenti:
Discutere e ad emozionarsi della morte degli altri, è una prova che siamo ancora vivi.
Sono d'accordo, è anche questo. Ma non trovi che sia un modo ben strano di provarlo? Come molto altro, piuttosto patetico. E forse anche inutile. Perché la vita non è nome nè ricordo di sè. O non solo.
Grazie. DC
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