Chiami qualcosa "tradizione" e già dici rito, quindi usanza, ossi stantìa, qualcosa che si perpetua per il solo fatto che, appunto, si perpetua. E' il caso delle feste di partito, che oltre alle bancarelle e alla musica dal vivo, ancora offrono dibattiti e discorsi. Di solito sembrano pronunciati in una lingua morente. Pochi li seguono, pochissimi li capiscono. A volte compare la figura del moderatore. Ruolo anch'esso legato forse ad una funzione di cui s'è persa l'esigenza, perchè le personalità sopra palco e le persone sotto di solito moderate lo sono al limite dell'assopimento.
A fungere da moderatore, ieri, in una festa di partito che abbiamo visitato, era un precario. L'unico, a dire il vero, sveglio, in mezzo a tre ex sindacalisti e davanti a qualche brizzolato che sfogliava il giornale in attesa del film. Ha domandato a che serve il sindacato e le autorità hanno messo in scena il loro repertorio di frasi sull'unità, le sfide della globalizzazione e una crisi senza precedenti.
Giungevano, non abbastanza lontane, strilli da un altro palco, che abbiamo raggiunto. Una signora inveiva contro l'omofobia denunciano rabbiosa l'emarginazione, le prevaricazioni di ogni giorno e la posizione del governo. Dopo l'applauso del pubblico ha ringraziato, si è seduta e ha sorriso.
Mancava solo l'inchino.
Nessun commento:
Posta un commento