mercoledì 20 gennaio 2010

bianco, nero e Verdone

“Io, Loro e Lara” non è senz’altro uno dei migliori film di Verdone, anzi...forse è addirittura il suo peggior film fin qui. Sarebbe un filmetto carino e niente di peggio se non fosse per il modo in cui vi si tratta il tema della prostituzione delle ragazze africane in Italia. Infatti Verdone ha avuto la felice idea di dire la sua su questa piaga che affligge le donne africane che vivono nel Bel Paese: sia quelle che si prostituiscono, sia (e soprattutto) quelle che fanno tutt’altro mestiere e che vengono comunque immaginate prostitute dagli italiani. E proprio questo preconcetto, ovvero che le donne africane residenti in Italia siano in grande maggioranza prostitute, viene candidamente cavalcato nel film di Verdone, dove l’attore e regista interpreta un missionario cattolico in crisi spirituale. A metà pellicola il prete Verdone incontra a Roma una ragazza africana proveniente dal villaggio in cui lui aveva operato per diversi anni. La ragazza lo invita a cena a casa sua, dove il missionario ritrova anche altre due giovani e belle donne natie dello stesso villaggio. Le ragazze appaiono allegre e serene, meravigliose nei loro abiti tradizionali. A casa delle donne c’è altra gente e tutti ballano e cantano insieme mentre i quattro sfogliano un album che ritrae le ragazze da bambine nel loro villaggio. Ad un certo punto le tre donne dicono di dover andare a lavorare e chiedono un passaggio a Carlo (questo il nome del missionario...). La meta era un marciapiede di periferia (seduta nella mia poltrona al cinema penso No! Verdone conferma lo stereotipo!) e le ragazze sembrano proprio volerci andare, nonostante il prete cerchi di dissuaderle e di tirarle via da lì. Ed è qui che Verdone fa pronunciare al suo personaggio parole che sono più sconcertanti dello stereotipo stesso: “Ragazze, non per fare del facile moralismo, perché tutti noi sappiamo la stima che Gesù aveva della Maddalena, ma se immigrare in un altro Paese significa venire a lavorare su un marciapiede allora era meglio se ve ne restavate a casa vostra, o no? Io sono basito dalla vostra trasformazione! Io vi ho lasciato nel vostro villaggio che eravate delle ragazze educate, perbene, rispettose delle vostre tradizioni e ora vi ritrovo senza ritegno, senza pudore e pure senza mutande! È questo il salto di qualità?”. A questo punto una ragazza risponde: “E chi manda i soldi a casa, li manti te?” E il prete: “Soldi, soldi, soldi! In Africa da mangiare ce n’era, poco, ma ce n’era. Però eravate libere, invece qui siete schiave! State facendo un lavoro da schiave!” Queste parole mi feriscono. Incomincio a pensare, a chiedermi se non sono io ad aver inteso male e poi mi dico che no, non ho inteso male. Purtroppo, Verdone nello stereotipo c’è caduto con tutti e due i piedi! E probabilmente pensa che quello che ha messo in scena lui sia la realtà! È verosimile che delle ragazze costrette a prostituirsi per vivere vadano a battere il marciapiede a cuor leggero, dopo aver fatto una festa con i loro connazionali, tutti allegrissimi e spensierati...quasi fossero delle imprenditrici di se stesse?!? E poi la predica del missionario: “eravate delle ragazze educate, perbene, rispettose delle vostre tradizioni”...perché, gli vorrei chiedere, chi si prostituisce è forse una cattiva persona? “Se immigrare in un altro Paese significa venire a lavorare su un marciapiede allora era meglio se ve ne restavate a casa vostra, o no?”...già vedo i leghisti annuire e fare proprio l’argomento per mascherare la volontà di rispedire al mittente le donne immigrate (come pure gli uomini), e non solo africane, sotto le spoglie di una “legittima preoccupazione” per il loro benessere e la loro dignità di persone. E poi “È questo il salto di qualità?”...bé, no...non c’è salto di qualità, soprattutto se si pensa che queste persone hanno percorso migliaia di chilometri, affrontato pericoli inimmaginabili, violenze e ricatti per poi arrivare in un Paese straniero e non vivere la vita che avevano immaginato di vivere. Ma di certo nessuna delle ragazze che si prostituiscono aveva il marciapiede come obiettivo, ci è stata messa o ci si è trovata per disperazione. L’unica verità che trovo nelle parole di Verdone è che queste ragazze non sono libere. Sono schiave della criminalità organizzata. Ma non solo. Se gli italiani non sono capaci di etichettarle diversamente, non danno loro la chance di essere altro nemmeno in un film, non saranno colpevoli anche loro? Non siamo colpevoli anche noi di costruire con i nostri preconcetti e le nostre etichette i destini di disperazione di queste persone? Verdone, che sa di essere seguito e amato da un pubblico trasversale, avrebbe potuto cogliere questa occasione per mostrare delle ragazze africane che ce l’avevano fatta, ragazze (come ce ne sono tante) che hanno lottato e lottano per vivere e lavorare duramente e onestamente nel nostro Paese e mantenere intere famiglie nel loro. Verdone avrebbe potuto approfittarne per rendere giustizia a tutte quelle donne africane che sono in questa condizione, ma vengono immaginate prostitute dagli italiani, troppo ignoranti e prevenuti per immaginare altro. Qualche mese fa ho conosciuto una stupenda ragazza africana. Era venuta in Italia per studiare turismo. Viveva dalle suore, a Roma, andava a scuola e lavorava per mantenersi. Faceva gli stessi lavori che fanno gli studenti italiani, la cameriera, la barista...cose così. Ma quando gli uomini romani la vedevano camminare per strada, bella com’è, la apostrofavano in romanesco, chiedendole quanto volesse. Questo di continuo. Ha smesso di mettere il mascara, i tacchi, le gonne, ha smesso di raccogliersi i capelli in treccine, non è servito. È andata via da Roma. Ora vive e lavora nel Nord-Est. In una fabbrica. Ce la fa a stento a mantenersi e ha dovuto lasciare gli studi, ma tiene duro. Persegue il suo sogno. Lei dice che è certa che anche dove vive ora la gente pensa che sia una prostituta, ma almeno non lo dice e a lei va bene così. Tornando al film, per amor del vero devo dire che ad un certo punto Verdone fa entrare in scena i protettori delle ragazze africane, le quali nel frattempo hanno deciso di ribellarsi e chiedono asilo a Carlo,che le nasconde in casa sua dove si sta svolgendo un pranzo importante, nel corso del quale le ragazze fanno la loro comparsa vestite da cameriere, per giustificare la loro presenza agli ospiti...e anche qui, aridaje! O prostitute o cameriere...è naturale immaginarle così. L’Italia sarà un Paese migliore quando riuscirà ad aprirsi agli stranieri abbracciandoli nella loro interezza e non stritolandoli in una morsa fatale fatta di preconcetti, pregiudizi, sfruttamento e criminalità. Qualche giorno fa Roberto Saviano ha detto che gli africani sono i nostri anticorpi contro le mafie, che loro si ribellano laddove l’italiano subisce, perché gli africani hanno affrontato la morte per venire nel nostro Paese a vivere una vita migliore e perciò non riescono a sopportare che l’organizzazione criminale di turno gli distrugga il sogno di una vita. L’italiano invece è assuefatto a chinare il capo e fare spallucce di fronte ad un potere illegittimo che gli usurpa tutti i diritti. Sono gli africani che ci sveglieranno, che ci salveranno e a loro Saviano ha detto una cosa bellissima: non lasciateci soli con le mafie, non ve ne andate. Loro pensavano di aver bisogno di noi, invece è la società italiana che ha bisogno di loro. I film, le trasmissioni, i TG che continuano ad incasellarli in ruoli stereotipati, rassicuranti per chi teme l’iniezione di linfa nuova nel tessuto sociale, non fanno male solo a loro, ma privano anche noi della possibilità di immaginarli altrimenti e di guardare davvero queste donne e questi uomini e chiederci “chissà che lavoro fa?”, “chissà da dove viene?” (perché anche qui dobbiamo dirlo: No, non sono tutti senegalesi! No, non sono tutte nigeriane!). Qui, dove vivo, ho sentito delle persone parlare degli “extracomunitari” (termine di per sé già odioso) chiamandoli “gli extra”. La prima volta che l’ho sentito non ho capito...”gli extra”...terrestri? Evidentemente no, mi sono detta. Poi ho collegato e ora quando sento questo termine, forse per una strategia di autodifesa o forse per deformazione professionale, nella mia testa la parola prende un accento tonico sulla “a”, alla francese. Perché in francese “extra” [extrà] è l’abbreviazione di “extraordinaire”, ovvero “straordinario”. “Il/Elle est extra”, “C’est extra” dicono Oltralpe. Ed è quello che penso io delle persone che vengono in Italia per cercare una vita migliore per sé ed i propri cari (a volte per intere comunità), che siano straordinarie. Per questo meritano che gli si dedichi qualcosa di diverso da un pensiero preconcetto.

7 commenti:

Poldino ha detto...

Saviano ha anche raccontato di quando a Villa Literno i boss concessero gli aumenti ma licenziarono i 3 rappresentanti degli immigrati che li avevano richiesti.
Penso che anche in concetto di soppruso celi un pregiudizio (nostro), senza, i nuovi arrivati capiranno chi comanda senza tanti scrupoli di coscienza.
O gli spacciatori stranieri hanno più coscienza civile degli italiani?

Parvati ha detto...

Ciao Poldino,

ti ringrazio per il commento...ma temo di non aver afferrato quello che vuoi dire.
Potresti spiegarmi nuovamente il tuo punto di vista?

Premetto che ritengo che gli spacciatori, di qualunque nazionalità essi siano, non abbiano una coscienza civile...
Ma non capisco che attinenza abbia con quello che ho scritto, né con i rappresentati dei braccianti africani licenziati dai boss di Villa Literno.
Attendo, se vorrai, la tua spiegazione.
Grazie!

Poldino ha detto...

Buondì, in effetti non mi sono spiegato. Ci provo: il caso di Villa Literno penso mostri che un potere come quello della malavita sa far riconoscere sè stesso e la propria forza; alla quale gli immigrati, cresciuti senza la sovrastruttura della legalità che a noi indigeni ci inculcano dalle elementari, non immagino abbiano remore a sottomettersi. (Ammesso che ne abbiano gli italiani).
Faccio un esempio al contrario: fossi costretto ad andare a lavorare in uno Stato dell'Africa per me non farebbe nessuna differenza se a chiedermi il pizzo o ad assumermi fosse il governo o un caporale per conto di eventuali guerriglieri.
In breve non conto su poveri senza potere contrattuale, con interessi altrove e, almeno di cose italiane, ignoranti, per abbattere la mafia.

Parvati ha detto...

Buongiorno Poldino! Grazie per la tua spiegazione, ora ho capito perfettamente quello che volevi dire.

Non sono un'esperta di cose di mafia, ma proprio stamattina ho letto un'altra intervista a Saviano, il quale ribadiva il fatto che gli africani sono da sempre restii a sottomettersi al potere mafioso in Italia, perché non sopportano che gli venga usurpato ciò per cui hanno lottato...
Forse noi italiani siamo più anestetizzati, soprattutto in alcune zone del Paese, perché cresciamo osservando l'illegalità tutti i giorni e ci assuefiamo ad essa come si trattasse di una cosa inevitabile. Ci sono zone del nostro Paese (e di quelle parla Saviano) in cui la sovrastruttura della legalità è un blando ideale, viene percepita come un'utopia e per molti non ha nemmeno dei contorni netti, perché non l'hanno mai vista, purtroppo.
Comunque anche io sono d'accordo che non si possa contare sugli africani per abbattere la mafia, ma forse possiamo sperare che le loro reazioni facciano riflettere chi vive da sempre gli stessi soprusi e non si è mai ribellato.
Ovviamente non esiste ribellione possibile (che non sia un suicidio) senza una presenza forte e rassicurante dello Stato...e credo che la vicenda di Rosarno, terra dimenticata dallo Stato e sulla quale anche dopo i fatti accaduti ultimamente il Capo del Governo non ha ritenuto di doversi esprimere, sia emblematica della condizione di abbandono e solitudine in cui versa gran parte del Sud italia più esposto alle mafie e, quindi, più degradato.

Ishtar ha detto...

Mi hai convinta, me lo segno e lo guardo, io ho trovato molto bello pure Il riccio tratto dal romando l'eleganza del riccio che devo assolutamente leggere...buona giornata

Parvati ha detto...

Ciao Ishtar... bé, se con tutto il male che ho detto del film ti ho convinta a guardarlo (!!!) significa che non ho fatto un buon lavoro...
L'ho definito il peggior film di Verdone fin qui...spiegami, ti prego!

Donna Cannone ha detto...

Bene. Mi rallegro che anche questo post di Parvati abbia ravvivato il dibattito e mi scuso per non essere riuscita a intervenire sul primo post.
Sentito il racconto dalla sua viva voce, sono rimasta allibita e sconcertata dalla prestazione di Verdone. Amando il vecchio e mitico Verdone, non ce la faccio a andare a vedere i film più recenti, che mi sembrano dei risciaqui di banalità e tentativi patetici di far ridere.
Mi rammarica che sia scivolato maldestramente sulle bucce di banana qui esposte.
Mi piacerebbe che si presentasse qui in veste di blogger a commentare, (vabbeh, concedetemi di chiudere la serata con un piccolo sogno a occhi aperti, in tanta mestizia....)