martedì 23 giugno 2009

SUPERAMENTO ALGEBRICO un racconto di Roberta Oss

Si parte dal presupposto che l’amore non ha confini. Tale ipotesi va ricordata per tutto il racconto.


C’era un uomo, vestiva colorato, molto colorato, talmente colorato da essere malvisto. Usava il rosa, il verde pisello, il giallo. Com’è noto, superata una certa età, il buongusto non permette più colori negli abiti. Tutti erano beige, grigio, nero, bianco, marroncino…lui era fucsia, canarino, azzurro. Stava spesso solo a pensare e a ripensare al suo grande amore. Nelle vene gli scorreva un grande amore, gli irrigava il cervello ed il cuore ogni mattina. Gli dava l’energia di un giorno di cerimonie. Il suo però era un amore quasi impossibile, si vestiva colorato appunto per fare in modo che quando la sua amata lo avesse visto lo avrebbe notato...

Era innamorato del numero 4, 4 scritto in numero e non in lettere proprio per sottolinearne il concetto matematico. Aveva sempre avuto la passione per il 4, ci pensava di continuo. Di tutte le cosa faceva gruppi di 4. Trovava il 4 ovunque, nei paesaggi, nei quadri, nei volti…Uno dei primi numeri, ancor prima del 5, che è comunque un cubo, una somma, è pari e puro. L’uomo colorato amava il 4. Ma come fare per incontrarlo? Non facile. Lui, però, aveva una teoria: cambiare la dimensione. Forse, si diceva, le dimensioni sono come lastre parallele in fila. E tutto ciò che c’è al loro interno risulta da fuori come disegni di fluidi, luci e lente esplosioni in un acquario bidimensionale nel buio del nulla. Il nostro mondo, i pomeriggi visti dalla finestra che non torneranno mai, i palazzi in periferia ripetuti 4 a 4 come dejavu, i giorni, il pane lasciato sul tavolo al crepuscolo mentre la luce nella stanza scende e tutto diventa buio senza far rumore, le attese con l’ansia nello stomaco, le attese con l’ansia nel cuore, i baobab secolari su cui nascono le scimmie - 4 enormi rami, 4 scimmie su ciascun ramo -, i pensieri inutili che ti distraggono da chi vuoi essere, le molle arrugginite nei materassi delle discariche, i linguaggi incompatibili, i granchi infreddoliti sugli scogli bagnati dal mare nella notte…tutto un insieme di fluidi variopinti in una piastra trasparente allineata a mille altre, governate tutte quante da un demiurgo assente ed illuminato.

Dunque l’uomo colorato, forte della sua teoria, progettava come saltare da un acquario all’altro.

Però come fare il salto? Come si fa a saltare fuori dalla dimensione contingente? Come scindere la strategia in tattiche, e poi le tattiche in azioni?



Primo tentativo.

Si mise a bere.

Teoria. Il suo ragionamento era che stordito dall’alcol lui sarebbe saltato fuori dal suo corpo in coma etilico ed avrebbe percorso il tunnel nero verso la luce bianca, e lì in fondo, ad attenderlo, il 4 sarebbe finalmente stato suo, per fondersi poi come Dante ed il paradiso.

Pratica. Si mise a bere tristemente a casa, da solo, in cucina. Una piccola cucina silenziosa con la luce artificiale.

1, 2, 3, 4, bicchieri, la testa gli girava, poi altri 4 bicchieri… rovesciò la bottiglia, sul pavimento si disegnò rapida una macchia porpora, barcollò a fatica fino al divano. Accese la tele: il volume era altissimo e lui non ricordava più come abbassarlo, continuava a schiacciare il tasto 4. Arrivarono a suonare i vicini. Lui era livido ed interrotto. La vicina era una donna grossa, spumiglia molle con gli occhi come chiodini fissati in faccia, la bocca piccola e rossa era un rubino in fuoco pieno di parole acute ed assillanti che le uscivano dalla bocca caotiche ed aggressive come le montagne russe. Gli chiese, con la cortese spocchia del mediocre, di fare meno rumore…lui col dito al cielo e gli occhi asimmetrici biascicò qualcosa di insolente, lei aggrottò gli occhi, mani sui fianchi e bocca aperta, dunque lui più oltraggioso, e via dicendo… La conversazione andò avanti con toni sempre più accesi e ricordi sempre più confusi….

Svegliandosi il giorno successivo, in preda ad un mal di testa incomparabile, trovò la spumiglia al suo fianco: amara rinoceronta nuda e sudata, con la bocca sformata nel rosso.

Il primo –disastroso- tentativo era fallito.



Secondo tentativo.

Passi lunghi nel corridoio senza fine, l’albergo isolato in una pianura sperduta sotto le stelle silenziose. Un esercito di porte a destra e uno a sinistra, ma lo sguardo è risoluto ed il passo calcato. Un gorgo di numeri da ogni lato: sussurrano, bisbigliano, lo spiano. Ma tra tutti i numeri non c’è il 4.

Apre la porta numero 37, e dentro nulla, buio, rumore di frigo che ronza e di legno dei mobili, solo un senso di mancanza che spreme via la linfa dai muscoli; da lì sarebbero scappati anche gli spettri.

Apre l’85: una donna pallida, rugosa e scarna è seduta sul bordo di un letto da bimbo. Vestita da hostess rosso-blu succhia un enorme leccalecca fatto a spirale bianca e nera, dagli occhi della donna le pupille escono come fili di liquerizie nere che lentamente disegnano mulinelli nell’aria: la donna lo guarda, poi lei ed i suoi occhi serpe si voltano dall’altra disinteressati e tristi.

Nella 203 una famiglia di obesi, madre, padre, figlio di 8 anni e ragazza di 16, tutti grassi, disgustosamente grassi, imbalsamati in una tuta da ginnastica come protesi davanti ad un megaschermo che proietta una cascata di cioccolato fuso riverso su un maiale con il grugno cacciato in una torta alla panna. La sedicenne tonda lo guarda e sorride maliziosa, perché forse lei ha un’idea, sì lei ha un’idea, ma non succede nulla. Lui chiude la porta dietro di sé.

Stanza 93, non ci sono finestre, c’è solo una persona di schiena che salta qua e là, sembra stia ballando, ma in realtà sta scrivendo a macchina, una macchina da scrivere enorme, lunga 2 metri, poggiata sul pavimento; per scrivere una lettera bisogna calcare sul tasto (che è grande come un bicchiere) con entrambe le mani. Smette di scrive, si gira affaticato, ansimando e lo guarda. Si guardano. Ma lo scrivano è concentrato, assorto nel suo mondo, e di certo non può essere d’aiuto, così l’uomo colorato esce senza far rumore.

Stanza 132, apre la porta e quasi precipita! Baratro nella notte oltre lo stipite. La porta da sullo strapiombo, lo spazio è immenso, è come se la porta dal nulla si aprisse sul cielo cupo di un dipinto, e in fondo c’è il mare, il mare che cento metri sotto sbatte sugli scogli fragoroso. L’uomo resta in ammirazione dell’acqua, ne ascolta il rumore, il canto ripetitivo. Le stelle sono poche e la luna è un sorriso accennato. Rimane all’entrata del dipinto marino in attesa di un dolce qualcosa, odorando l’aria di mare. L’aria di mare ancora un istante, l’altalena di stelle ancora un momento. Sale umido nelle narici, evoca e trasporta lontano, ipnotizza gli atomi e chiude gli occhi. Ma l’aria cambia odore. Il sale s’intreccia al sapore di carne. Un flutto più forte degli altri. Un rumore distinto. Le onde si sfasano. Qualcosa si muove sotto la superficie, sembra enorme, immenso, emerge, una massa che sale dagli abissi. Affiora fragorosamente, il boato, il rumore che fa tremare i denti e la cassa toracica…ed ecco l’orrore, la tachicardia, il panico, superati solo dalla curiosità di vedere cos’è; cosa blocca i muscoli, la paura o la curiosità? Eccolo che arriva, l’uomo trema, sbarra gli occhi, urla. Chiude la porta di scatto, tutto finito, ora solo un corridoio silenzioso ed interminabile.

L’indirizzo dell’albergo delle Miracoli l’uomo colorato lo aveva trovato scritto sulle pareti di una cabina telefonica, la gente in generale sottovaluta le scritte che ci sono per strada.

Secondo tentativo fallito



Terzo tentativo

I due primi tentativi di arrivare al 4 avevano una cosa in comune: erano concepiti come un percorso, una ricerca dinamica, fasi successive. L’uomo immaginava che per uscire dalla sua dimensione avrebbe dovuto spostarsi, trasferirsi…risultato: fallimento. Pertanto forse la vera soluzione stava nell’immobilità, nell’ascetismo al di là dei sensi. Collassare inerti, saldati all’epilogo di sé, stanchi contro vento con le palpebre che svengono, turchese sotto gocce di assenzio che piano piano scompare in una pozza, attendere speranzosi la primavera come fa una stalagmite in Antartide. Attendere e attendere e attendere, pensando in continuazione che ormai non succederà più nulla perché è troppo che non succede nulla, ma rimanendo sempre con una specie di speranza acida nello stomaco.

Quando non c’è soluzione finché l’inferno non ti manda un angelo a cui compri un momento di evasione gioiosa in cambio del purgatorio e di una fetta di coscienza. E dunque ecco forse la soluzione: il sonno. Il sonno profondo di chi non si sveglia con il terremoto. Inabissarsi nel torpore mentale, filo d’erba risucchiato nel vortice senza pensieri.

Dunque l’uomo colorato attese la notte, abbassò le tapparelle, s’infilò il suo pigiama rosso arancio e verde e si mise a letto. L’intenzione era prendere coscienza di sé nel sonno. Svegliarsi durante il sogno, creare lì un mondo frutto della sua volontà onirica in cui attendere il 4 per il resto del tempo.

Ma era nervoso, la sua testa era popolata dalle scale di Escher e lui non ne usciva, perso nei corridoi a rincorrere il letargo. Si sciolse nelle paranoie di chi non riesce a dormire, si incastrò in riflessioni senza fuga, finì lanciato da ragionamenti sterili in pozzi neri, ed ogni volta che gli sembrava di perdere razionalità rinsaviva dall’emozione e non dormiva. Notte insonne senza futuro.

Il giorno dopo si alzò cotto con gli occhi caldi. Lavò svogliatamente i denti, a stento la faccia, si vestì (meno colorato del solito) ed andò in città: il frigo era vuoto e la fame chiamava. Prese l’autobus per qualche fermata, era pieno di gente scontata e discorsi sentiti. Scese pigro sbuffando. Che nebbia quel giorno. Si avviò verso il supermercato schivando gli sguardi. Salì le scale di pietra rosa che conducevano alla piazza principale. Guardava per terra, contando i ciottoli, 4 poi altri 4, dando poco peso alla strada, era sempre la stessa da anni.

Camminava, immerso nei suoi pensieri, disorientato, la città non gli interessava e gli sembrava quasi confusa. Alzò lo sguardo: di nuovo le scale per la piazza principale. Avanti. L’edicola, la fermata dell’autobus, la fontana fatta a conchiglia, le scale… pieno di scale, nebbia e luce ora. Rimaneva abbagliato ad ogni raggio di sole, anche se non era veramente sole…era luce. Confondeva le persone con le statue ed i rumori con le ombre. Scale e vicoli. L’edicola, la fermata dell’autobus, la conchiglia. Vide qualcuno venirgli incontro deciso: un piccolo e giallo pachiderma ciondolante con i capelli lunghi. Era la 16enne obesa dell’albergo dei Miracoli. Vestiva con un completo canarino e scarpe arancio ed era tonda, gustosamente tonda, anche gli occhioni neri erano tondi. Sorrise lenta e dolce in controluce. Gli disse che all’albergo dei Miracoli, se voleva c’era una stanza tutta per lui, perché sapevano tutti che aveva perso il sonno quella notte, ed in quella stanza avrebbe dormito bene…la numero 4.

L’uomo non se lo fece dire due volte.

Seguì la ragazza. Prima per strada; poi si addentrarono attraverso una specie di vicolo, sbucarono e trovarono scale, scale infinite, sovrapposte e disordinate. Luce bianca nella nebbia, abbagliante, corridoi, chiocciole e vicoli dalle alte pareti, il bianconiglio era un canarino gigante, che muoveva lento come una ninnanna, una nenia ripetitiva come il dondolare di una culla…ma che percorso strano quello…a seguire un ombra gialla nel niente…con riverberi che occultano la vista…e foschie indulgenti…le scale ed il dondolare….si stava realmente muovendo? Chiamò la ragazza che procedeva senza sosta, lei si girò e sorrise, era piena di piume dorate ora ed il suo sorriso era sormontato dalla sua proboscide elefantiaca, ma era molto dolce e aveva negli occhi la luce e la spirale. L’uomo, quindi, non si oppose e continuarono il percorso. Quant’è bella un’ossessione per chi ne ha una, solo chi non ne ha mai avute pensa che sia da malati. Quanta compagnia fa un’ossessione, c’è solo lei splendida nella notte, grande come il mare, ripetitiva ed infinita come le sue onde. A cos’altro puoi giurare fedeltà sinceramente.

D’un tratto la guida si fermò: disse all’uomo che doveva proseguire da solo e volò via gracchiando sgraziata, perdendosi nella foschia.

Era solo, nel nulla di una pianura di sabbia. Il cielo era biancoarancio nebbioso. All’orizzonte in lontananza si vedevano strane cose volare nell’aria, come goffi scatoloni di metallo con le ali, ed esplosioni, erano bombe o fuochi d’artificio? Si accorse che avrebbe potuto sceglierlo lui, si accorse che stava sognando…sognava cosciente. Inaspettatamente all’orizzonte vide una nave arrivare verso di lui. La prua d’oro e le vele rosse e leggere come papaveri, cascate di papaveri che occhieggiavano al vento. Solcava le sabbie lentamente. Si avvicinava e non arrivava mai.

L’uomo sentì d’un tratto qualcosa come un urlo sott’acqua, ma lì per lì gli sembrò solo nelle sue orecchie. La nave era ferma davanti a lui. La polena lo guardava, la polena era un piccolo baobab nodoso da cui emergeva il volto di una giovane donna, ed era stata la polena a fare quell’urlo, ora cantava soavemente acuta.

Lui era immobile attendeva chi doveva scendere dalla nave, sentiva un vagone delle montagne russe in fiamme che dallo stomaco gli correva in gola e ritorno. Sentiva le vene pettinarsi dalla tensione.

Scese dalla nave il 4. Scese dalla nave il 4. C’era, davvero, c’era. Il 4 che scende da una nave che solca il deserto è proprio così come uno se lo immagina. Si guardano. E ancora si guardarono.

Lui si perse negli occhi del numero e tutto si fece vortice attorno…un istante dopo erano nella stanza numero 4 dell’albergo dei miracoli. Era una stanza da letto di un albergo tedesco, tutto in legno di ciliegio e tendine rosse e bianche. E i due amanti l’uno di fronte all’altro si lasciarono finalmente andare, nell’incredulità del 4, che da anni cercava quell’uomo colorato saltando da una dimensione all’altra.

Epilogo

L’uomo colorato si svegliò e la tristezza lo prese, era sveglio, dunque non più in contatto con l’amata…

Si accorse però che era sveglio in un letto di ciliegio, e che qualcuno dormiva al suo fianco. Scostò le coperte, e trovò il 5, il 4+1, il 5 è un 4 incinta tutto sommato con una grossa pancia gravida davanti. Perché come se diceva all’inizio, si parte dal presupposto che non ci siano limiti all’amore.

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