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domenica 31 gennaio 2010

poesia di un'amica (pezzo 5)

Hai incoraggiato quest'altalena


spingendo con la schiena dolorante


mentre lui sceglieva ritmo e caduta.


Infine, dimenticata, hai pianto


questo per ricominciare a vedere


e visualizzare, di conseguenza,


la tua predilezione per l’oppressione.


Ma hai pianto troppo chiusa in bagno


e gli occhi ti sono scivolati nella vasca.


Ora hai due buchi neri in faccia


gli occhi sono caduti nello scarico,


nel groviglio della tubatura,


fino al lago in fondo alla fogna,


galleggiano leggeri senza il peso dell’ansia.


Ora che l’altalena è ferma


tu sei quieta


e i tuoi occhi vedono
 
ora che si sono sbarazzati di te.
 
di Roberta Oss
 

martedì 19 gennaio 2010

Tombola di beneficenza - Gruppo naturalistico Le Tracce

Riceviamo e volentieri comunichiamo:

Il gruppo Naturalistico Le Tracce in collaborazione con il Circolo Cultura Oficina Buenaventura organizza Giovedì 21 gennaio alle ore 20.45 la tradizionale Tombola di beneficenza con premi
presso “Libera-Mente” il nuovo spazio del ristorante Teatro dei Sapori - Via Garibaldi 17, Castelfranco Veneto (“dentro le mura” di fronte il Teatro).

Il ricavato sarà devoluto a favore di un progetto per la promozione delle donne non vedenti in Togo (Africa). Serata aperta a tutti.


mercoledì 26 agosto 2009

28 agosto: esce il film "Piede di Dio" - autodistribuito

riceviamo e con piacere diffondiamo:
Cari amici e care amiche,
il 28 agosto uscirà "Piede di Dio", un film di Luigi Sardiello.
“Consiglio Piede di dio a tutti i ragazzi che amano il calcio. C'è dentro quella magia che rende possibile il superamento di ogni limite”. (Gianfranco Zola) "PIEDE DI DIO" Regia di LUIGI SARDIELLO con Emilio Solfrizzi, Rosaria Russo, Filippo Pucillo, Paolo Gasparini, Luis Molteni, Guido Quintozzi.
Il Film verrà autodistribuito dalla produzione che con questa scelta si schiera contro le logiche mafiose e repressive del sistema distributivo italiano. Autodistribuire un film vuol dire tenere la testa alta ma andare a far guerra alla mafia vera, quella che lottizza il 90% delle sale e lascia che i poveri e i liberi si scannino sulle briciole. Con questa equazione facile facile: se il film non incassa nella prima settimana sparisce e insieme a lui anni di lavoro e oceani di passione, professionalità e idee. E incassare nella prima settimana è praticamente impossibile, se non hai capitali da investire in promozione, per far sapere alla gente che c’è un film in giro. A meno che…Il coraggio e le scelte di indipendenza espressiva devono essere sostenute specie in un momento così delicato e denso di preoccupazioni.Cominciamo a collaborare tutti con impegno e passione e diamo il via a un periodo di rinascita, in cui la solidarietà e la cooperazione costituiscano la nostra carta vincente.Tutte le informazioni sul sito http://www.piededidio.it/
Grazie a tutti, Alessandro
Queste le città e le sale (alcune, come vedrete, saranno definite nei prossime giorni):
ANCONA da definire
BARI Cinema Armenise
BARLETTA (BA) Cinema Opera
BOLOGNA Cinema Odeon
BRINDISI da definire
CAGLIARI dal 4 settembre sala da definire
CATANIA dal 4 settembre sala da definire
FIRENZE Cinema Flora o Fiorella
FOGGIA da definire
GALLIPOLI (LE) da definire
GENOVA Cinema Ariston o Corallo
LECCE Cinema Santa Lucia
MILANO Cinema Eliseo
MOLA (BA) Cinema Metropolis
NAPOLI Cinema Filangieri o Delle Palme
PADOVA da definire
PALERMO dal 4 settembre sala da definire
PESCARA da definire
ROMA Cinema Quattro Fontane e Intrastevere
TARANTO da definire
TAVIANO (BA) Multisala Fasano
TORINO Cinema Nazionale
TRICASE (LE) Cinema Moderno

martedì 23 giugno 2009

SUPERAMENTO ALGEBRICO un racconto di Roberta Oss

Si parte dal presupposto che l’amore non ha confini. Tale ipotesi va ricordata per tutto il racconto.


C’era un uomo, vestiva colorato, molto colorato, talmente colorato da essere malvisto. Usava il rosa, il verde pisello, il giallo. Com’è noto, superata una certa età, il buongusto non permette più colori negli abiti. Tutti erano beige, grigio, nero, bianco, marroncino…lui era fucsia, canarino, azzurro. Stava spesso solo a pensare e a ripensare al suo grande amore. Nelle vene gli scorreva un grande amore, gli irrigava il cervello ed il cuore ogni mattina. Gli dava l’energia di un giorno di cerimonie. Il suo però era un amore quasi impossibile, si vestiva colorato appunto per fare in modo che quando la sua amata lo avesse visto lo avrebbe notato...

Era innamorato del numero 4, 4 scritto in numero e non in lettere proprio per sottolinearne il concetto matematico. Aveva sempre avuto la passione per il 4, ci pensava di continuo. Di tutte le cosa faceva gruppi di 4. Trovava il 4 ovunque, nei paesaggi, nei quadri, nei volti…Uno dei primi numeri, ancor prima del 5, che è comunque un cubo, una somma, è pari e puro. L’uomo colorato amava il 4. Ma come fare per incontrarlo? Non facile. Lui, però, aveva una teoria: cambiare la dimensione. Forse, si diceva, le dimensioni sono come lastre parallele in fila. E tutto ciò che c’è al loro interno risulta da fuori come disegni di fluidi, luci e lente esplosioni in un acquario bidimensionale nel buio del nulla. Il nostro mondo, i pomeriggi visti dalla finestra che non torneranno mai, i palazzi in periferia ripetuti 4 a 4 come dejavu, i giorni, il pane lasciato sul tavolo al crepuscolo mentre la luce nella stanza scende e tutto diventa buio senza far rumore, le attese con l’ansia nello stomaco, le attese con l’ansia nel cuore, i baobab secolari su cui nascono le scimmie - 4 enormi rami, 4 scimmie su ciascun ramo -, i pensieri inutili che ti distraggono da chi vuoi essere, le molle arrugginite nei materassi delle discariche, i linguaggi incompatibili, i granchi infreddoliti sugli scogli bagnati dal mare nella notte…tutto un insieme di fluidi variopinti in una piastra trasparente allineata a mille altre, governate tutte quante da un demiurgo assente ed illuminato.

Dunque l’uomo colorato, forte della sua teoria, progettava come saltare da un acquario all’altro.

Però come fare il salto? Come si fa a saltare fuori dalla dimensione contingente? Come scindere la strategia in tattiche, e poi le tattiche in azioni?



Primo tentativo.

Si mise a bere.

Teoria. Il suo ragionamento era che stordito dall’alcol lui sarebbe saltato fuori dal suo corpo in coma etilico ed avrebbe percorso il tunnel nero verso la luce bianca, e lì in fondo, ad attenderlo, il 4 sarebbe finalmente stato suo, per fondersi poi come Dante ed il paradiso.

Pratica. Si mise a bere tristemente a casa, da solo, in cucina. Una piccola cucina silenziosa con la luce artificiale.

1, 2, 3, 4, bicchieri, la testa gli girava, poi altri 4 bicchieri… rovesciò la bottiglia, sul pavimento si disegnò rapida una macchia porpora, barcollò a fatica fino al divano. Accese la tele: il volume era altissimo e lui non ricordava più come abbassarlo, continuava a schiacciare il tasto 4. Arrivarono a suonare i vicini. Lui era livido ed interrotto. La vicina era una donna grossa, spumiglia molle con gli occhi come chiodini fissati in faccia, la bocca piccola e rossa era un rubino in fuoco pieno di parole acute ed assillanti che le uscivano dalla bocca caotiche ed aggressive come le montagne russe. Gli chiese, con la cortese spocchia del mediocre, di fare meno rumore…lui col dito al cielo e gli occhi asimmetrici biascicò qualcosa di insolente, lei aggrottò gli occhi, mani sui fianchi e bocca aperta, dunque lui più oltraggioso, e via dicendo… La conversazione andò avanti con toni sempre più accesi e ricordi sempre più confusi….

Svegliandosi il giorno successivo, in preda ad un mal di testa incomparabile, trovò la spumiglia al suo fianco: amara rinoceronta nuda e sudata, con la bocca sformata nel rosso.

Il primo –disastroso- tentativo era fallito.



Secondo tentativo.

Passi lunghi nel corridoio senza fine, l’albergo isolato in una pianura sperduta sotto le stelle silenziose. Un esercito di porte a destra e uno a sinistra, ma lo sguardo è risoluto ed il passo calcato. Un gorgo di numeri da ogni lato: sussurrano, bisbigliano, lo spiano. Ma tra tutti i numeri non c’è il 4.

Apre la porta numero 37, e dentro nulla, buio, rumore di frigo che ronza e di legno dei mobili, solo un senso di mancanza che spreme via la linfa dai muscoli; da lì sarebbero scappati anche gli spettri.

Apre l’85: una donna pallida, rugosa e scarna è seduta sul bordo di un letto da bimbo. Vestita da hostess rosso-blu succhia un enorme leccalecca fatto a spirale bianca e nera, dagli occhi della donna le pupille escono come fili di liquerizie nere che lentamente disegnano mulinelli nell’aria: la donna lo guarda, poi lei ed i suoi occhi serpe si voltano dall’altra disinteressati e tristi.

Nella 203 una famiglia di obesi, madre, padre, figlio di 8 anni e ragazza di 16, tutti grassi, disgustosamente grassi, imbalsamati in una tuta da ginnastica come protesi davanti ad un megaschermo che proietta una cascata di cioccolato fuso riverso su un maiale con il grugno cacciato in una torta alla panna. La sedicenne tonda lo guarda e sorride maliziosa, perché forse lei ha un’idea, sì lei ha un’idea, ma non succede nulla. Lui chiude la porta dietro di sé.

Stanza 93, non ci sono finestre, c’è solo una persona di schiena che salta qua e là, sembra stia ballando, ma in realtà sta scrivendo a macchina, una macchina da scrivere enorme, lunga 2 metri, poggiata sul pavimento; per scrivere una lettera bisogna calcare sul tasto (che è grande come un bicchiere) con entrambe le mani. Smette di scrive, si gira affaticato, ansimando e lo guarda. Si guardano. Ma lo scrivano è concentrato, assorto nel suo mondo, e di certo non può essere d’aiuto, così l’uomo colorato esce senza far rumore.

Stanza 132, apre la porta e quasi precipita! Baratro nella notte oltre lo stipite. La porta da sullo strapiombo, lo spazio è immenso, è come se la porta dal nulla si aprisse sul cielo cupo di un dipinto, e in fondo c’è il mare, il mare che cento metri sotto sbatte sugli scogli fragoroso. L’uomo resta in ammirazione dell’acqua, ne ascolta il rumore, il canto ripetitivo. Le stelle sono poche e la luna è un sorriso accennato. Rimane all’entrata del dipinto marino in attesa di un dolce qualcosa, odorando l’aria di mare. L’aria di mare ancora un istante, l’altalena di stelle ancora un momento. Sale umido nelle narici, evoca e trasporta lontano, ipnotizza gli atomi e chiude gli occhi. Ma l’aria cambia odore. Il sale s’intreccia al sapore di carne. Un flutto più forte degli altri. Un rumore distinto. Le onde si sfasano. Qualcosa si muove sotto la superficie, sembra enorme, immenso, emerge, una massa che sale dagli abissi. Affiora fragorosamente, il boato, il rumore che fa tremare i denti e la cassa toracica…ed ecco l’orrore, la tachicardia, il panico, superati solo dalla curiosità di vedere cos’è; cosa blocca i muscoli, la paura o la curiosità? Eccolo che arriva, l’uomo trema, sbarra gli occhi, urla. Chiude la porta di scatto, tutto finito, ora solo un corridoio silenzioso ed interminabile.

L’indirizzo dell’albergo delle Miracoli l’uomo colorato lo aveva trovato scritto sulle pareti di una cabina telefonica, la gente in generale sottovaluta le scritte che ci sono per strada.

Secondo tentativo fallito



Terzo tentativo

I due primi tentativi di arrivare al 4 avevano una cosa in comune: erano concepiti come un percorso, una ricerca dinamica, fasi successive. L’uomo immaginava che per uscire dalla sua dimensione avrebbe dovuto spostarsi, trasferirsi…risultato: fallimento. Pertanto forse la vera soluzione stava nell’immobilità, nell’ascetismo al di là dei sensi. Collassare inerti, saldati all’epilogo di sé, stanchi contro vento con le palpebre che svengono, turchese sotto gocce di assenzio che piano piano scompare in una pozza, attendere speranzosi la primavera come fa una stalagmite in Antartide. Attendere e attendere e attendere, pensando in continuazione che ormai non succederà più nulla perché è troppo che non succede nulla, ma rimanendo sempre con una specie di speranza acida nello stomaco.

Quando non c’è soluzione finché l’inferno non ti manda un angelo a cui compri un momento di evasione gioiosa in cambio del purgatorio e di una fetta di coscienza. E dunque ecco forse la soluzione: il sonno. Il sonno profondo di chi non si sveglia con il terremoto. Inabissarsi nel torpore mentale, filo d’erba risucchiato nel vortice senza pensieri.

Dunque l’uomo colorato attese la notte, abbassò le tapparelle, s’infilò il suo pigiama rosso arancio e verde e si mise a letto. L’intenzione era prendere coscienza di sé nel sonno. Svegliarsi durante il sogno, creare lì un mondo frutto della sua volontà onirica in cui attendere il 4 per il resto del tempo.

Ma era nervoso, la sua testa era popolata dalle scale di Escher e lui non ne usciva, perso nei corridoi a rincorrere il letargo. Si sciolse nelle paranoie di chi non riesce a dormire, si incastrò in riflessioni senza fuga, finì lanciato da ragionamenti sterili in pozzi neri, ed ogni volta che gli sembrava di perdere razionalità rinsaviva dall’emozione e non dormiva. Notte insonne senza futuro.

Il giorno dopo si alzò cotto con gli occhi caldi. Lavò svogliatamente i denti, a stento la faccia, si vestì (meno colorato del solito) ed andò in città: il frigo era vuoto e la fame chiamava. Prese l’autobus per qualche fermata, era pieno di gente scontata e discorsi sentiti. Scese pigro sbuffando. Che nebbia quel giorno. Si avviò verso il supermercato schivando gli sguardi. Salì le scale di pietra rosa che conducevano alla piazza principale. Guardava per terra, contando i ciottoli, 4 poi altri 4, dando poco peso alla strada, era sempre la stessa da anni.

Camminava, immerso nei suoi pensieri, disorientato, la città non gli interessava e gli sembrava quasi confusa. Alzò lo sguardo: di nuovo le scale per la piazza principale. Avanti. L’edicola, la fermata dell’autobus, la fontana fatta a conchiglia, le scale… pieno di scale, nebbia e luce ora. Rimaneva abbagliato ad ogni raggio di sole, anche se non era veramente sole…era luce. Confondeva le persone con le statue ed i rumori con le ombre. Scale e vicoli. L’edicola, la fermata dell’autobus, la conchiglia. Vide qualcuno venirgli incontro deciso: un piccolo e giallo pachiderma ciondolante con i capelli lunghi. Era la 16enne obesa dell’albergo dei Miracoli. Vestiva con un completo canarino e scarpe arancio ed era tonda, gustosamente tonda, anche gli occhioni neri erano tondi. Sorrise lenta e dolce in controluce. Gli disse che all’albergo dei Miracoli, se voleva c’era una stanza tutta per lui, perché sapevano tutti che aveva perso il sonno quella notte, ed in quella stanza avrebbe dormito bene…la numero 4.

L’uomo non se lo fece dire due volte.

Seguì la ragazza. Prima per strada; poi si addentrarono attraverso una specie di vicolo, sbucarono e trovarono scale, scale infinite, sovrapposte e disordinate. Luce bianca nella nebbia, abbagliante, corridoi, chiocciole e vicoli dalle alte pareti, il bianconiglio era un canarino gigante, che muoveva lento come una ninnanna, una nenia ripetitiva come il dondolare di una culla…ma che percorso strano quello…a seguire un ombra gialla nel niente…con riverberi che occultano la vista…e foschie indulgenti…le scale ed il dondolare….si stava realmente muovendo? Chiamò la ragazza che procedeva senza sosta, lei si girò e sorrise, era piena di piume dorate ora ed il suo sorriso era sormontato dalla sua proboscide elefantiaca, ma era molto dolce e aveva negli occhi la luce e la spirale. L’uomo, quindi, non si oppose e continuarono il percorso. Quant’è bella un’ossessione per chi ne ha una, solo chi non ne ha mai avute pensa che sia da malati. Quanta compagnia fa un’ossessione, c’è solo lei splendida nella notte, grande come il mare, ripetitiva ed infinita come le sue onde. A cos’altro puoi giurare fedeltà sinceramente.

D’un tratto la guida si fermò: disse all’uomo che doveva proseguire da solo e volò via gracchiando sgraziata, perdendosi nella foschia.

Era solo, nel nulla di una pianura di sabbia. Il cielo era biancoarancio nebbioso. All’orizzonte in lontananza si vedevano strane cose volare nell’aria, come goffi scatoloni di metallo con le ali, ed esplosioni, erano bombe o fuochi d’artificio? Si accorse che avrebbe potuto sceglierlo lui, si accorse che stava sognando…sognava cosciente. Inaspettatamente all’orizzonte vide una nave arrivare verso di lui. La prua d’oro e le vele rosse e leggere come papaveri, cascate di papaveri che occhieggiavano al vento. Solcava le sabbie lentamente. Si avvicinava e non arrivava mai.

L’uomo sentì d’un tratto qualcosa come un urlo sott’acqua, ma lì per lì gli sembrò solo nelle sue orecchie. La nave era ferma davanti a lui. La polena lo guardava, la polena era un piccolo baobab nodoso da cui emergeva il volto di una giovane donna, ed era stata la polena a fare quell’urlo, ora cantava soavemente acuta.

Lui era immobile attendeva chi doveva scendere dalla nave, sentiva un vagone delle montagne russe in fiamme che dallo stomaco gli correva in gola e ritorno. Sentiva le vene pettinarsi dalla tensione.

Scese dalla nave il 4. Scese dalla nave il 4. C’era, davvero, c’era. Il 4 che scende da una nave che solca il deserto è proprio così come uno se lo immagina. Si guardano. E ancora si guardarono.

Lui si perse negli occhi del numero e tutto si fece vortice attorno…un istante dopo erano nella stanza numero 4 dell’albergo dei miracoli. Era una stanza da letto di un albergo tedesco, tutto in legno di ciliegio e tendine rosse e bianche. E i due amanti l’uno di fronte all’altro si lasciarono finalmente andare, nell’incredulità del 4, che da anni cercava quell’uomo colorato saltando da una dimensione all’altra.

Epilogo

L’uomo colorato si svegliò e la tristezza lo prese, era sveglio, dunque non più in contatto con l’amata…

Si accorse però che era sveglio in un letto di ciliegio, e che qualcuno dormiva al suo fianco. Scostò le coperte, e trovò il 5, il 4+1, il 5 è un 4 incinta tutto sommato con una grossa pancia gravida davanti. Perché come se diceva all’inizio, si parte dal presupposto che non ci siano limiti all’amore.

venerdì 19 giugno 2009

Non tutto il Malì vien per nuocere....aggiornamento

Ieri abbiamo incominciato a raccogliere un po' di giocattoli e vestiti per bambini. Sono 7/8 le persone che si sono attivate finora per questa raccolta - e così, lentamente ma inesorabilmente, vediamo i piccoli frutti della rete.
Ne siamo felici e da qui mandiamo un grazie.
Chi volesse aderire è ancora in tempo. Massitan, infatti, parte a inizio agosto. Possono essere utili anche vestiti da donna e scarpe - sia da adulti che da bambini.
Questo è un appello. A chi condivide l’idea di condividere. Cosa? Con chi? Parte del proprio tempo, risorse o qualche scheo.
Massitan, un’amica del Malì che risiede in Trentino da 15 anni, in agosto farà un viaggio a casa, cioè Bamako. Massitan vive e lavora qui per sostenere parenti e conoscenti più poveri, in Mali. (...)Il post per intero è qui: La rete siamo noi.
Stiamo raccogliendo vestiti e/o giocattoli in buone condizioni che Massitan porterà in Malì da distribuire a chi ne ha bisogno. Il carico massimo che può portare è di 40kg. Continuiamo a darci da fare... Grazie, ciao Massitan&DC

mercoledì 10 giugno 2009

Intervista esclusiva a Rita Charbonnier

Rita Charbonnier è autrice di due romanzi. Il primo, “La sorella di Mozart” (Corbaccio, 2006) è stato pubblicato in dodici Paesi, tra i quali Austria, Germania, Francia e Stati Uniti. Il secondo, “La strana giornata di Alexandre Dumas”, è una novità di Edizioni Piemme. E’ stata attrice e cantante in teatro per diversi anni. In seguito ha iniziato a collaborare come giornalista con riviste di spettacolo, a scrivere sceneggiature e poi romanzi.
Abbiamo il piacere di avere nuovamente con noi l'autrice di "La strana giornata di Alexandre Dumas" e di soddisfare alcune curiosità...in 2 parti
DC: mi incuriosisce molto andare un po' indietro nella tua storia e scoprire come e quando è nata la tua relazione con la scrittura Rita Charbonnier: Bisogna andare parecchio indietro. Sono l’ultima di sei figli, mia sorella e i miei fratelli sono più grandi, e sono stati loro a insegnarmi a leggere, verso i quattro anni. Ho iniziato a scrivere quasi subito: poesie, raccontini, e più tardi un giornalino di quartiere. Allora i blog non c’erano. C’erano le macchine da scrivere e la carta carbone; per raggiungere la tiratura di 15 (!) copie dovevo battere a macchina l’intero giornale cinque-sei volte, perché più di tre copie carbone alla volta non venivano. Scrivere era un godimento e avrei sopportato anche di peggio; forse cercavo l’approvazione del mio ambiente, forse la soddisfazione di un’esigenza comunicativa, forse entrambe le cose. Parallelamente facevo piccoli spettacoli, massacrando i bambini più piccoli del vicinato con turni di prove da denuncia al sindacato attori; curavo la drammaturgia, l’allestimento e le musiche. DC: vorrei sapere come la scrittura si sposa con le tue altre attività professionali - in qualche modo mi sembra vi sia un fil rouge che le unisce... Rita C.: Hai colto nel segno. Anche se non faccio più teatro da un pezzo, immagino che nei miei romanzi, soprattutto nei dialoghi, l’esperienza di palcoscenico si avverta almeno un poco. Ho recitato per quasi quindici anni, in generi diversi, in contesti diversi, e ho imparato ad afferrare, e in qualche modo a prevedere, la reazione positiva del pubblico di fronte a un effetto ben costruito; quindi ho sviluppato una certa consapevolezza dell’andamento, o della scena, o della battuta che potrebbero “funzionare” (la certezza ovviamente non c’è mai). DC: che cosa ti spinge a scrivere di personaggi storici - a cui dare una valenza anche 'simbolica' o, se vogliamo, di 'parabola' di messaggio che scavalca i secoli per raggiungerci nella modernità? Rita C.:Anche qui hai colto nel segno. Non credo che i miei possano essere definiti romanzi storici classici. Io non vado a scegliere un’epoca X per imbastirci una storia il più possibile vicina alla cosiddetta realtà; cerco piuttosto di andare per temi. Ne “La sorella di Mozart” ho esplorato il tema della realizzazione personale. Nel nuovo romanzo, “La strana giornata di Alexandre Dumas”, il tema è l’identità. Se è vero che la figlia di una coppia nobile è stata scambiata con il figlio di una coppia qualunque per ragioni di eredità, di chi siamo figli? Di chi ci genera o di chi ci alleva? Quanto conta la sensazione dell’appartenenza a una famiglia nella costruzione della nostra personalità? E il nostro destino è scritto nel codice genetico? In questa prospettiva, rivendico la libertà dell’autore. Credo che cercare di aderire alla realtà storica sia una battaglia persa. Non esiste una realtà storica oggettiva. Gli storici si accapigliano quasi su tutto e anche la storiografia è un genere letterario. All’ultima Fiera del Libro di Torino mi sono ritrovata a fare una tavola rotonda con Cinzia Tani e Leda Melluso. Entrambe hanno appena scritto un romanzo su Federico II di Svevia. Tani (“Lo stupore del mondo”, Mondadori) lo dipinge come un eroe, Melluso (“La ragazza dal volto d’ambra”, Piemme) come un mascalzone. Quale delle due ha ragione? Entrambe! O Pirandello non ci ha insegnato proprio niente. Certo, ci sono cose che in un romanzo storico è meglio non fare. Non puoi sostenere che Alexandre Dumas era il nonno segreto di Hitler. Cioè, puoi anche farlo, se proprio ci tieni, ma rischi fortemente di vincere l’Oscar della Stupidata.
La copertina del romanzo (Ed. Piemme)
DC: come è iniziato il tuo rapporto con l'editoria? Ovvero - hai bussato a tante porte, hai trovato subito quella giusta - ti è venuto a ''stanare'' qualcuno? Rita C.: Ha ha ha! Qui non ti stana nessuno e soprattutto nessuno ti regala niente. Quello dell’incontro fortuito è un mito metropolitano. Qualcosa di fortuito, però, nel mio caso c’è stato. Anche se scrivevo da sempre, anche se una volta abbandonato il teatro mi ero messa a scrivere per la televisione, non vagheggiavo di scrivere romanzi; non era nei miei pensieri, se non nella forma di sogno irraggiungibile per me tapina. Nel 2000 decisi di scrivere un soggetto cinematografico sulla sorella di Mozart; mi misi al lavoro seriamente, andai a Salisburgo per le ricerche, e lì feci mente locale sul fatto che nel 2006 ci sarebbero state grandi celebrazioni mozartiane, perché sarebbero ricorsi i 250 anni dalla nascita. Questo, pensai, avrebbe potuto aiutare il mio progetto. Il soggetto vinse un premio europeo; scrissi la sceneggiatura, che suscitò interesse qua e là, anche un mezzo contratto, ma il film non quagliava. E intanto gli anni passavano e il 2006 si avvicinava. A un certo punto capii che per il film non c’era più tempo. Forse per un romanzo sì. All’epoca ero fidanzata con un giornalista inglese. Appena gli dissi che pensavo di scrivere un romanzo sulla base della mia sceneggiatura, lui mi urlò in faccia: “That’s a great idea!” E poi mi diede un ottimo consiglio: trovati un agente letterario. In Inghilterra e negli USA è una cosa ovvia, qui da noi quasi non si sa che esiste questa figura professionale. Trovare l’editore giusto è compito dell’agente, che prenderà una percentuale sugli introiti dell’autore; compito dell’autore è trovarsi l’agente giusto. Su Internet ci sono tutti i recapiti; bisogna prendere contatto, inviare i propri scritti e sperare che siano valutati positivamente. Mi dicono però che adesso molti agenti chiedono soldi (bei soldi, anche 600 euro) per valutare gli scritti. Io immagino che in tempi di crisi la gente si attacchi dove può e credo sarebbe meglio perlomeno cominciare dai pochi che ancora non chiedono soldi. Se uno ha una sommetta da spendere, forse è meglio investirla in un corso di scrittura; se anche gli insegnanti non sono dei geni, almeno avrà la possibilità di confrontarsi con altre persone che nutrono il suo stesso sogno. DC: e da scrittrice, come vedi il panorama editoriale (e scrittorio) nazionale? Ci dai un parere sia sulla piccola/media che sulla grossa editoria? Rita C.: Riguardo alla piccola editoria, come è noto anche qui c’è gente che si fa pagare dagli autori per pubblicare i libri. Questo non è tanto normale. Autori ben più qualificati di me si sono scagliati contro questo sottobosco. La situazione normale è che l’autore non paga, ma viene pagato con un anticipo sui diritti di vendita che in seguito dovrà percepire (una percentuale sul prezzo di copertina, di norma attorno all’8%. Poi ci vanno tolte tasse e commissioni di agenzia, per cui su un libro che costa attorno al 16 euro all’autore ne entra in tasca circa uno). Però adesso c’è il self-publishing; e ci sono stati casi di libri autofinanziati finiti sulla scrivania dell’editore importante, che li ha acquisiti e ripubblicati. E poi si cita sempre Proust, che pubblicò a proprie spese “Dalla parte di Swann”… in conclusione, non ci sono regole. L’unica regola credo sia cercare di capire per quale ragione si scrive, e per chi, e agire di conseguenza. Riguardo alla grossa editoria, immagino che essere Angelina Jolie offra alcuni vantaggi rispetto all’essere un’attrice magari anche più brava, ma che fatica a raggiungere il pubblico. I grandi editori hanno grandi risorse per la promozione, e soprattutto per la distribuzione – che è di importanza fondamentale. Il libro deve essere facilmente reperibile in libreria. Anche qui è un po’ come per il cinema: se il film non esce nelle sale, chi lo vede? Sì, i libri si possono ordinare, anche su Internet, ma nella maggior parte dei casi vengono comprati e letti dalle persone che li pescano in libreria. Solo la grande editoria può garantire una distribuzione massiccia e capillare.
to be continued....

martedì 9 giugno 2009

Non tutto il Malì vien per nuocere....

Una bimba del Malì
La rete siamo noi.
Questo è un appello. A tutti coloro che condividono l’idea di condividere.
Cosa? Con chi? Parte del proprio tempo, risorse o qualche scheo, con chi è meno fortunato. La signora Massitan, un’amica del Malì che risiede in Trentino da 15 anni, in agosto farà un viaggio a casa, cioè Bamako. Ostetrica di formazione, proveniente da una famiglia molto numerosa, Massitan vive e lavora qui per sostenere parenti e conoscenti poveri, in Mali. Di lei potrei dire che è una splendida signora; che racconta miti e leggende, storie di santi e di politici del suo paese. Ma anche di sua nonna che per lavoro praticava la mutilazione dei genitali. E delle donne che al mercato tengono i bambini sotto il sole per ore e ore, senza dargli da bere.
Massitan si aggira tra loro con le sacche di acqua (che lì si vendono a meno di 1centesimo) e dà da bere ai bambini avvolti nella fascia porta-enfant sulla schiena delle mamme – che regge in testa le ceste di arachidi o di frutta. Poi Massitan dice alle mamme “Oggi gli ho dato da bere io, ma tu devi farlo ogni giorno, almeno 4 volte al giorno!” Certe donne la deridono. Non capiscono che i bimbi si disidratano e muoiono. Non lo capiscono neppure quando la disidratazione è causata dalla dissenteria, e per un bambino in pochi giorni può essere mortale.
È sorridente ed energica, Massitan – ha sempre voglia di parlare. Ma - mi ha confidato, raccontare ha un effetto balsamico: la aiuta a scacciare la nostalgia di casa.
Arriverà anche su questo blog un racconto raccolto dalla sua voce, un po’ ruvida e squillante. Adesso, però, è più urgente la richiesta, a chi può raccoglierla, di inviare vestiti e/o giocattoli per bambini in buone condzioni (non soldi), che Massitan porterà con sé in Malì da distribuire a chi ne avrà bisogno (non basterebbero mai, inutile dirlo). Il carico massimo che può portare è di 40kg, dunque diamoci da fare!
Il mio contatto è sempre quello: ladonnakannone@gmail.com (Non perderò tempo a rispondere a chi mi accuserà di mettermi in mostra. Ho cose più importanti da fare).
Massitan ha anche bisogno di un lavoro. Chi tra i nostri lettori in Trentino sa di una posizione di badante o signora di servizio per faccende domestiche o simile, mi scriva. Grazie a tutti. Grazie, ciao. Massitan&DC

lunedì 13 aprile 2009

Blog2piazze presenta il nuovo romanzo di Rita Charbonnier

Copertina:
La strana giornata di Alexandre Dumas
E' con molto piacere che ospitiamo su queste pagine virtuali Rita Charbonnier
Un’autrice italiana che al suo esordio ha ottenuto, accanto a un ottimo successo in Italia, un grande interesse a livello internazionale: i diritti sono stati venduti in 12 Paesi e verrà pubblicata negli Stati Uniti.
Rita Charbonnier, attrice e cantante in teatro che ha recitato al fianco di Nino Manfredi, Lucia Poli, Sandro Massimini e per i registi Aldo Trionfo, Antonio Calenda e Tonino Conte, in questo romanzo ha saputo costruire una storia appassionante e magica che cattura la vera essenza di un’epoca attraverso un personaggio di grande fascino e suggestione quale Alexandre Dumas.
La strana giornata di Alexandre Dumas
Quella sarebbe stata una giornata come tutte le altre per Alexandre Dumas, se non fosse stato per una bizzarra vecchia che gli aveva proposto di leggergli gli astri per l’anno successivo, il 1844. Dopo i primi convenevoli, infatti, si era accorto che l’indovina non aveva alcuna intenzione di parlargli dell’oroscopo, ma che aveva una storia da raccontare, la propria. Per una volta sarebbe stato lui lo spettatore. Tutto aveva avuto inizio a Modigliana, in Romagna, dove la madre della chiromante, Vincenza, l’aveva data alla luce e l’aveva chiamata Maria Stella. In breve, però, Vincenza si era accorta che l’accenno di chioma scarlatta e i piccoli occhi di cielo della neonata non potevano venire né da lei né da Lorenzo, suo marito, entrambi neri come la pece. Quella non era sua figlia. Ma quando aveva provato a parlare dei suoi sospetti, nessuno le aveva creduto, e Vincenza si era vista costretta a frugare in lungo e in largo la casa, e a chiedere ai vicini; era arrivata addirittura a interrogare il signor Conte. La scoperta sull’origine della bambina era stata sconcertante, ma Vincenza si era confidata solo con la piccola Maria Stella che, dopo tanti anni, aveva deciso di mettere Dumas, il grande scrittore, a parte di quello scandalo che avrebbe potuto minare dalle fondamenta
l’intero regno di Francia. Quella era stata una strana giornata per Alexandre Dumas e la storia
che aveva udito sarebbe diventata fonte di
ispirazione per uno dei suoi capolavori.
Edizioni Piemme Pagine: 384 Prezzo: 18,50 € In libreria da: 7 aprile 2009
Rita Charbonnier
incontrerà i lettori in varie presentazioni. Ecco il calendario:
Sabato 18 aprile
a Modigliana (FC)
ore 20.30 in Sala Bernabei
Proprio a Modigliana è nata la leggenda alla quale s’ispira il romanzo!
Lunedì 20 aprile 2009 ore 18.00 Sala ex Oratorio Palazzo dei Musei V.le Vittorio Veneto 5,
Modena INGRESSO LIBERO con il patrocinio del Comune di Modena e associazione culturale Progetto Arte
Venerdì 8 maggio
a Roma
ore 18.00 presso libreria Mondadori Trevi.
Introdurrà il romanzo la scrittrice Cinzia Tani.
NON MANCATE!!!

lunedì 30 marzo 2009

Nuvoloni sul Nettuno

Fontana del Nettuno, Piazza Duomo - Trento (foto DC)
Riceviamo e pubblichiamo
Appello alla società civile e al mondo culturale contro la soppressione della Soprintendenza trentina per i beni archeologici
La Giunta provinciale, su proposta del Presidente della Provincia autonoma di Trento, nella seduta del 26 gennaio 2009 ha deliberato ad unanimità di voti la soppressione della Soprintendenza per i beni archeologici (deliberazione n. 104 dd. 26 gennaio 2009) con subentro nelle competenze e nei ruoli della neocostituita Soprintendenza per i beni librari e archeologici. Si è in presenza di un intervento senza precedenti a livello nazionale, tramite il quale, con semplice delibera politica, si decreta la soppressione della struttura operativa istituita con legge a garanzia della tutela, conservazione e valorizzazione del patrimonio archeologico, che la Provincia autonoma di Trento ha avuto per competenza primaria trasferita dallo Stato Italiano nel 1973 e che in questa direzione ha agito, in oltre trenta anni di attività, nel rispetto delle norme e dei ruoli assegnati. Il provvedimento, quasi nascosto in un lungo articolato, diversamente da altri che lo precedono e che lo seguono, è assolutamente privo di motivazione e nemmeno la decisione assunta risulta inserita in alcun piano generale di riorganizzazione del comparto dei beni culturali, tant’è che le consorelle Soprintendenze preposte ai beni architettonici e ai beni storico-artistici non sono soggette ad alcuna modifica. La decisione della Giunta Provinciale accosta in maniera meccanica la Soprintendenza per i beni archeologici e la Soprintendenza per i beni archivistici e librari, depotenziandole di fatto entrambe, senza logiche razionali e motivazioni sostanziali e senza tenere conto delle rispettive specificità disattendendo completamente i principi che, nel 2003, hanno ispirato il legislatore a istituire le Soprintendenze stesse (L.P. 17 febbraio 2003, n.1: Nuove disposizione in materia di beni culturali). Conseguenza diretta saranno le ricadute, a cominciare dall’utenza esterna, certamente ora confusa e nei cui riguardi la struttura, prima come Ufficio e quindi come Soprintendenza, ha saputo costruire un rapporto di identità chiara e operativa, adeguata a far fronte ad una realtà territoriale e a problematicità di settore, impegnative e di notevolissima diversità. La situazione presente è resa ancora più allarmante in quanto, tra i compiti trasferiti alla neo-costituita Soprintendenza per i beni librari e archeologici (che perde quindi gli archivi nella denominazione), ne risultano dimenticati alcuni di sostanziali, pure essi previsti da precise norme di legge e da circolari in materia, nazionali e provinciali. Caso questo, ad esempio, della valorizzazione del patrimonio archeologico trentino, del Museo archeologico provinciale e le sue articolazioni territoriali già esistenti. Sopprimere la Soprintendenza è un intervento che allinea nel peggiore dei modi la realtà trentina agli attuali indirizzi del Governo centrale e al degrado in cui viene a trovarsi la tutela pubblica, devitalizzata da tagli economici a un bilancio già di per se stesso striminzito, commissariamenti, assenza di concorsi, mancanza di personale. Un percorso che di fatto spiana alla privatizzazione commerciale dei beni culturali, all’evento su tutto, alla tutela e alla valorizzazione dei beni “ricchi” ritenuti più importanti perché immediatamente “spendibili”. Una politica che va respinta con forza e indignazione. Come unica e ultima possibilità, i firmatari del presente documento si appellano a tutta società civile e agli esponenti del mondo culturale e chiedono al Signor Presidente della Provincia autonoma di Trento e alla Giunta provinciale di rivedere il provvedimento adottato con la deliberazione n. 104 di data 26 gennaio 2009, ripristinando nell’organizzazione provinciale in materia di beni culturali la Soprintendenza per i beni archeologici e restituendole la dignità e l’autorevolezza acquisita nel corso degli anni attraverso gli interventi di tutela, di conservazione e di valorizzazione del patrimonio archeologico trentino. Trento, 19 marzo 2009
Archeoclub d'Italia, sede di Trento Ars 95 – Gruppo Artisti Valli del Noce Associazione culturale "Antonio Rosmini" Associazione Culturale Ricerche e Fortificazioni Altomedievali (RFA), sezione di Trento Associazione Dimore Storiche Italiane (ADSI), sezione Trentino - Alto Adige Associazione Italiana di Cultura Classica, delegazione di Trento Fondo per l'Ambiente Italiano (FAI), delegazione di Trento Istituto italiano dei Castelli, sezione Trentino Italia Nostra, sezione trentina Società di Studi Trentini di Scienze Storiche Università Popolare Trentina
CHE FARE:
Inviate a trento@italianostra.org il seguente messaggio: Rendo nota la mia adesione a questo appello Grazie

domenica 29 marzo 2009

Eurospar non avrà i miei soldi!

Ieri pomeriggio ho incontrato degli amici. Tutti e tre dovevamo fare la spesa quindi «perché non saltate in macchina e andiamo insieme?» ho proposto. Loro di solito vanno in un supermercato che trovano conveniente, seppure fuori mano. Uno dove io non vado mai, in una zona che non frequento. Per cambiare, mi son detta «proviamo pure e andiamoci» quindi verso le 17 siamo andati all’Eurospar di Viale Verona, a Trento (zona piscina Fogazzaro, per intenderci). Facciamo la spesa; tutto ok .

Quando usciamo, dobbiamo capire che farcene del gettone giallo del parcheggio che abbiamo ritirato all’arrivo. In effetti, non abbiamo visto indicazioni da nessuna parte. I miei amici di solito vengono con l’autobus. L’ultima volta che io sono passata di qua il parcheggio era libero. Saliamo in macchina e ci dirigiamo all’uscita. Fermi alla sbarra, infiliamo in gettone nell’apposita fessura della macchinetta, ma lo risputa: dovete ripagare, ci scrive. Sì, ma quanto? E dove? Come? Non c’è nessuna fessura in cui infilare i soldi. E non ci sono altre indicazioni. Faccio retromarcia. Obbligando le tre auto in fila dietro di me a fare altrettanto. Poi corro alla macchinetta, sotto la pioggia. Ci giro intorno in cerca di indicazioni, ma non ce ne sono. Dice che la tariffa del parcheggio è di 5€ all’ora. E di pagare alla cassa automatica. Ma non dice dov’è. Dice che la prima mezz'ora è gratuita. A intuito, entro nel supermercato. Eccola lì – senza indicazioni. (Ovviamente il funzionamento è identico a quello di altre casse automatiche di parcheggi), quindi infilo il gettone giallo e aspetto di sapere quanto devo pagare. Tempo: 1 ora e 3 minuti Costo: 7,50€ Non è possibile! - trasecoloSchiaccio più volte il pulsante «aiuto» nella speranza che arrivi un commesso o un addetto. Non succede nulla. Non arriva nessuno. Scalpito. I miei amici hanno un impegno e non voglio farli tardare. Premo annulla e mi faccio restituire il gettone. Forse c’è un errore, penso.

Lo infilo di nuovo: 7,50€. Nel frattempo è passato un minuto: 1 ora e 4 minuti. La tariffa è la stessa. Che fortuna! Incredula e indignata per un costo di parcheggio che manco a Venezia o al Vaticano, torno di corsa in macchina dai miei amici. E gli tiro un pippone cannonico sul fatto che domani mi metterò all’opera su internet e da brava pro-sumer farò scattare il passaparola (negativo!) per allertare tutti i consumatori e clienti dell’Eurospar di stare alla larga da questo furto legalizzato! Alla faccia della crisi, del risparmio, dei consumatori e della trasparenza! Eurospar non avrà più neppure un centesimo dei miei soldi.

mercoledì 11 febbraio 2009

Non lo so

Paolo Dolzan (foto S. Cesari)
Propongo qui (d'accordo con l'autore), un post recente di Paolo Dolzan; per me pienamente condivisibile; espressione superba di perplessità in cui mi ritrovo:
Leggo libri e sfoglio cataloghi, scruto fotografie e ricostruzioni in pellicola, fantastico sui tempi andati che hanno lasciato solo un rimasuglio in bianco e nero per questo mio presente. Nel passato non cerco (e non trovo) la felicità, beninteso. Eppure quell'approssimazione di benessere mi ristora. Provo a immaginarmi quel mondo che non aveva ancora del tutto classificato le sintomatologie e le cause del decesso, che rompeva la schiena coi viaggi di una manciata di chilometri e caricava ogni partenza di esodo e di epica, che avvicinava l'anima degli uomini tra le vicissitudini dei giorni trascorsi senza nemmeno una lettera dei propri cari. Si moriva da giovani, quei pochi a quarant'anni eran già vecchi, ma oggi che la relatività del tempo è a tutti nota, dovrebbe apparir chiaro che anche solo 100 anni fa, quando la vita scorreva liquida in un composto rado d'occasioni o diluito nei tempi, i giorni valevano il doppio e che quindi, alla meglio, non è cambiato niente sotto questo aspetto. Oggi 24 ore bastano a malapena per lavorare. Non lo so. Sono inebetito da questo tutto e da questo niente. Coltivo il mio talento necrofilo immergendomi e talvolta annegando nel passato-passatista. Non riesco a cavarmi dal cervello e dal cuore che questo raggiunto benessere, tutta questa tecnologia, prosciughi l'anima anzichè nutrirla; perdipiù questa mia lagna è uguale al pianto del coccodrillo a panza piena. Nonostante ciò, ho la certezza che questo centinaio d'anni appena trascorso, - il XX secolo delle grandi rivoluzioni - sia stato un trabocchetto per la nostra società occidentale.
Con gli occhi al cielo i nostri nonni ammiravano i fuochi d'artificio progressisti quando in realtà i giochi eran già finiti e i nodi delle contraddizioni incastrati nel pettine dell' '800. Il XIX secolo ha segnato il picco di questa nostra giostra dell'intelligenza europea, ne ha tracciato i limiti e segnato i futuri confini. E' stata la fulminea parentesi nella storia dell'uomo che poteva farsi libero. Ogni colpo secco di ghigliottina in Francia è stato un passo avanti dell'uomo per l'uomo del mondo intero, così la morte decretata di Dio nella penna di scrittori e filosofi, il segno di matita degli artisti dentro e fuori dalle accademie e dalla società; l'affossamento della s/ragione illuminista in un chiavare sovrafollato e decadente che ha marcato nuovi territori del piacere e marchiato d'idiozia nevrotica la morale. Beati i vivi godenti a quei tempi! Nel giro di un cinquantennio al massimo, (dalla seconda metà dell' '800), tutto è rientrato nella subnormalità della tiritera s/faccendiera giornaliera, grazie alle carceri e ai manicomi declinati nelle più fantasiose forme. Oggi che sono qui e che scrivo, dopo svariati tentativi maldestri di ricucire il presente e il passato per conservare la memoria e renderla di nuovo agente attivo in questa stramaledetta società, ritorno senza coda al cucciolo che gioca con la propria coda... mi sento un Davide ingrassato che brandisce minaccioso la propria fionda contro un Golia infarcito di testate nucleari. E' la storia che si ripete - dico dentro di me - e penso per associazioni mentali a quell'unica lettura che mi tranquillizza per la sua onestà: al "Chuang-Tzu" di 4 secoli prima che il nostro Signore posasse il suo sacro culo sulla testa delle nostre anime per raddrizzarci i torti. Penso alla storiella popolare raccontata da questo eremita delle foreste: l'orgogliosa mantide religiosa alzò le sue zampette per frenare il carro, rimanendone spiaccicata. E così, con la mantide divido la medesima sorte: il pittore spiaccicato senza riscontri, fuor d'epoca e dal mondo senza nemmanco lo sputo di un vitalizio che non si negava allo sfortunato Van Gogh. Tritato dal carrozzone del benessere modaiolo, dogmatico, imputtanito.
Paolo Dolzan

lunedì 15 dicembre 2008

Continuate voi...

Poldino & DC saranno assenti per qualche giorno.
Nel frattempo, vi lasciano un incipit con l'invito a proseguire con la narrazione.
Lasciate i vostri racconti nei commenti, o inviateli a ladonnakannone@gmail.com*
Li sottoporremo al giudizio insindacabile di zia Elena.
Quello che le piacerà di più di più di più, sarà premiato con una collana Birgit di creazione Red Blizzard (vedi foto)
Ecco l'incipit:
Non rimane niente di te, della tua voce e delle tue scarpe scalcagnate. Con sollievo mi accorgo che il tuffo al cuore quando ti vedo dietro l’angolo è solo un attimo. Che le treme non mi manano e la voce non si gola nella ferma. Non hai lasciato traccia. Né fuori né dentro di me. Certo, a volte l’azzurro del cielo mi squarcia. Mi ferisce il sole sulla neve. Allora giro l’angolo e chiudo la tenda. Nascondo nell’arruffo dei capelli il cuore molle.
E quando la notte ancora sogno la tua voce, una parola mi riporta la quiete:
* entro il 25 dicembre 2008

lunedì 24 novembre 2008

Histoire de C. Una escort si racconta…

Narcisismo, curiosità,
avvenenza, sensualità
fascino e intraprendenza....
Torna l'appuntamento con le Voci dal sottoscala: A colloquio con Chiara di Notte, ex escort che ci svela la vita dietro le quinte della prostituzione d'alto bordo.
DC: Sul tuo blog http://chiara-di-notte.blogspot.com/ racconti di aver lavorato come escort. CDN: È stata per lungo tempo la mia professione. A volte mi sorprende che questo fatto continui tutt’oggi a stimolare interesse e talvolta domande non scevre di una certa morbosità. Mi accade spesso che la gente voglia “sapere”. Nonostante si viva in un’epoca in cui, almeno in occidente, si parla tanto di emancipazione sessuale, in realtà tale emancipazione è solo apparente ed il sesso è sempre e comunque un fatto peccaminoso.

DC: Come è nata questa professione? CDN: Ad essere sincera non sono stata io a scegliere la professione ma è stata lei a scegliere me. L’approccio alla prostituzione non segue per tutte lo stesso percorso. Moltissime ragazze vengono attirate, spesso con l’inganno, dal miraggio di una vita migliore. Si tratta di ragazze che vivono in Paesi in cui le possibilità di crearsi una vita dignitosa sono negate a causa della miseria e dell’ignoranza, e di solito sono quelle che vanno a rinfoltire le fila di chi esercita nella strada oppure in appartamenti organizzati come catene di montaggio e che sono quasi sempre controllate da organizzazioni malavitose. A me, invece, è andata diversamente. Per poter avere i soldi per mantenermi senza dover pesare sulla mia famiglia alla sera facevo la ballerina in discoteca. Me ne stavo per ore a ballare dentro una specie di gabbia per poter racimolare quei pochi soldi che mi bastavano appena per il cibo e per l’affitto di una stanza che dividevo con un’amica che si chiamava Anikò e come me era studentessa. Ballava anche lei in discoteca, però i soldi non le mancavano… Devo dire che anche se ero molto ingenua sapevo come li guadagnava quei soldi, però vedevo che era soddisfatta. Di lei avevo l’immagine di una ragazza sì disinibita e forse avventuriera, ma sicuramente libera ed indipendente cosa che avrei voluto essere anche io, ma che a causa dei miei tanti retaggi, ancora mi precludevo. Fu lei che in qualche modo mi fece accettare l’idea che vendersi non era poi una cosa così brutta. Prima di prendere la decisione passarono molti mesi: mi vergognavo, e poi ero davvero un’imbranata in fatto di sesso. Ricordo che quando capitò l’occasione e ci fu chi mi offrì molti soldi fuggii via spaventata, ma poi mi pentii di non avere accettato. Non dormii per tutta la notte pensando a tutti quei soldi che non avrei guadagnato neppure in un anno, e la sera dopo capitolai.

Fu come rompere il sigillo di qualcosa e l’esperienza non fu assolutamente negativa. Da allora capii che potevo usare il mio corpo oltre al mio cervello per ottenere ciò che desideravo. Oltretutto compresi il “potere” incredibile che poteva avere una prostituta nei confronti di chi si rendeva disponibile a pagare, e venni conquistata dalla curiosità di approfondire quell’aspetto per me nuovo ed intriso d’avventura. Iniziai a viaggiare, incontrai persone dalle quali assorbii molta di quell’erudizione che ancora conservo. Leggevo tutto ciò che c’era da leggere sull’argomento: la storia delle cortigiane, delle geishe e delle etere. Mi affascinavano quelle figure e volevo essere anche io una di loro. Vivevo quella professione senza che mi pesasse. Ho sempre avuto un mio personale concetto del peccato che non riguardava assolutamente il sesso, il fatto “morale” non mi disturbava e più vivevo quella condizione più acquisivo consapevolezza della mia capacità di manipolare i desideri degli uomini che incontravo. Era una sensazione magnifica, quasi di onnipotenza che troppo spesso mi ubriacava e della quale per lungo tempo sono rimasta schiava.

DC: Cos’è un’escort nell’immaginario collettivo e come è, invece, nella realtà? CDN: Delle differenze ci sono, è inevitabile. Essere escort è come essere attrice. Si recita una parte, si cerca di dare al cliente quello che lui vuole, e ciò è sempre diverso perché ogni persona ha pulsioni e desideri che differiscono anche se alla base ci sono sempre e comunque l’erotismo ed il sesso. L’escort, nell’immaginario collettivo e parlo dell’escort del tipo al quale mi sono ispirata io, non deve avere alcun tabù, deve far vedere che gradisce l’atto sessuale più del denaro che riceve ma non deve limitarsi solo ad aprire le gambe. Deve saper giocare, deve farsi sedurre perché ogni cliente quando paga desidera anche sognare che la donna con la quale in quel momento si sta relazionando non lo fa per i soldi, ma perché lo gradisce, perché lui è speciale, più speciale di ogni altro al mondo. La escort deve poi essere raffinata, educata, erudita per non dire addirittura colta, comunicativa, divertente e sensibile, perché il cliente vuol bearsi di aver pagato una donna altrimenti irraggiungibile non solo per la sua fisicità ma anche per la sua personalità e per la sua anima. Fuori dal lavoro invece le escort sono donne come le altre, con le loro paturnie, i loro difetti, i loro “momenti no”. Anche se la professione influisce a volte in modo preponderante sullo stile di vita, “dentro” ogni escort resta comunque la donna che è sempre stata. Ad esempio, io che nella professione mi mostravo spesso con atteggiamenti da donna disposta a tutto, nel mio mondo privato sono rimasta la “bambina” di sempre, sognatrice che ascoltava le fiabe raccontate dalla nonna. Dopotutto le mie origini sono contadine e tutta la raffinatezza e l’aria “snob” che faceva parte del “personaggio” che recitavo, le abbandonavo una volta che mi riappropriavo della mia veste di “normalità”. DC: Aspetti negativi e positivi della professione? CDN: Aspetti negativi? Quello che mi sovviene per primo è la dipendenza che può creare. Se una donna si abitua a vivere in quella dimensione, in cui incassa tanti soldi, frequenta alberghi e ristoranti raffinati, riceve regali preziosi e, soprattutto, s’illude che gli altri siano dei burattini da manipolare, difficilmente riesce poi a rientrare in possesso della realtà. Altro lato negativo, secondo me, è l’accettazione della “solitudine”. Fintanto che si esercita il mestiere non ci si può legare a nessuno. I motivi per cui dico questo possono essere molteplici, ma per quanto riguarda me, afferiscono soprattutto al lato affettivo. Come si fa a tornare fra le braccia della persona amata dopo aver passato la notte a scopare con un cliente? Ritengo sia una questione di rispetto, innanzi tutto nei miei confronti. Non si possono coinvolgere i sentimenti di chi, stando accanto ad una escort potrebbe anche accettare perché le vuole bene ma soffrendo in silenzio. Sapere di non dare alla persona che amo tutta la felicità che merita dando la preferenza al denaro mi farebbe sentire squallida. Lati positivi ce ne sono diversi: quello economico è di primaria importanza: nessuna professione “lecita” e’ in grado di rendere tanto nel minor tempo possibile; poi c’è il lato psicologico. Per esempio da ragazzina ero molto magra, dalle forme anche fin troppo adolescenziali nonostante stessi per compiere i diciotto anni, inoltre ero introversa e con una scarsa autostima; addirittura credevo davvero che non potevo piacere ad alcun uomo. Constatare che c’erano uomini molto gradevoli, affascinanti, intelligenti e colti, che addirittura s’innamoravano di me, disposti a pagare cifre da capogiro è servito a controbilanciare e, oltre alla conoscenza del mio corpo, della mia sessualità, dei miei desideri e tutta una serie di cose che altrimenti (forse) sarebbero rimaste sconosciute, mi ha fatto acquisire quel po’ di sicurezza che poi mi e’ stata necessaria a superare alcuni momenti difficili che ho vissuto. Comunque andasse sapevo che potevo far affidamento su ciò che la natura aveva mia messo a mia disposizione che ho a lungo considerato un talento.

DC: Aspetti inquietanti dell’umanità con cui ti sei relazionata? CDN: Moltissimi, ma non nei clienti che, bene o male nonostante i vizi e le perversioni, sono sempre stati comunque delle “persone” a loro modo corrette. Se mai gli aspetti più inquietanti li ho ravvisati in ciò che si poneva nei miei confronti in una posizione di “disinteressata amicizia”; tutti quei truffatori di sentimenti che girano intorno alle escort ed al denaro che la loro professione fa muovere. Chi esercita deve sempre porre molta più attenzione a chi propone rapporti diversi da quello stabilito dal “contratto” prostituta-cliente. Alcune mie amiche sono state fregate nei sentimenti e nei soldi e vedere la loro disperazione mi ha procurato un grande sgomento ed una sfiducia nei confronti del genere maschile talvolta esagerata. DC: È una posizione insolitamente privilegiata per osservare e conoscere l’essere umano – che considerazioni nei hai tratto? CDN: Incontrare tantissimi uomini, farci sesso e quindi vederli mentre si mostrano “nudi” non solo fisicamente, ascoltare le loro confidenze, le loro menzogne, mi ha insegnato tanto anche per quanto riguarda la vita al di fuori del lavoro. Credo di conoscere gli uomini, forse non tutti, ma sicuramente quella fetta che sente il bisogno di rivolgersi al sesso a pagamento. Inoltre esercitare mi ha dato anche modo di conoscere un po’ le donne attraverso gli sfoghi dei loro compagni, miei clienti. Ciò che dicevano era dal mio punto di vista orribile… ho scoperto una realtà di coppia piena d’insoddisfazione, d’incomprensione, di assenza di complicità e di rispetto che mi ha aperto gli occhi su molte cose. Ho imparato a conoscere i motivi per i quali venivano ingannate e tutto questo mi ha insegnato (forse) a comportarmi nei confronti dei miei partner poiché non avrei mai potuto sopportare che parlassero di me come quei clienti parlavano delle loro compagne.

DC: Quali sono i rapporti con altre donne che lavorano come escort? CDN: Ho sempre avuto poche amiche che fossero anche colleghe. Spesso i sentimenti che si creano, o perché una ha più successo e guadagna di più, o perché è più carina, sono sentimenti d’invidia. Di carattere ritengo di essere talmente introversa da risultare a volte “glaciale” e questo mi contraddistingueva anche quando ero escort. Ho sempre tenuto un basso profilo, di me sapevano poco tutti, soprattutto le “colleghe”. Ora che mi sono ritirata ed è chiaro che mai più riprenderò quel cammino, è diverso: ho tuttora dei rapporti stupendi con le sorelle che ancora esercitano le quali credo trovino in me adesso una persona con la quale possono confidarsi senza temere brutti scherzi che, di solito, fra professioniste possono avvenire soprattutto se ci sono in ballo clienti molto danarosi. DC: Qual è il profilo medio dell'escort (studentessa, casalinga, giovane…)? CDN: In Italia sono sempre state poche le ragazze che hanno potuto definirsi esattamente “escort” nel senso di cortigiane, geishe, prostitute che fossero simili alle eteree greche. Il fatto è che oggigiorno con il termine escort vengono indicate un po’ tutte le ragazze che in qualche modo si prostituiscono con l’esclusione di quelle che stanno in strada o nei bordelli; dalle casalinghe, alle modelle, alle studentesse, alle ragazze d’appartamento. Essere “escort” però, secondo me, rappresenta ben altro. È prima di tutto uno stile di vita che ha molte affinità con l’arte. Non so neppure se io stessa possa considerarmi tale. Anche se in molti mi hanno confermato che lo ero, non so quanto mi sia avvicinata a quel modello ideale che avevo in mente. Non è quindi una questione di profilo ma di vocazione. Deve “piacere”, deve essere scelto, sentito; si può essere escort ad ogni età anche se (è ovvio), perché sia un’attività redditizia dato che la fisicità ha una notevole importanza, risente di quei limiti che sono propri di ogni donna.

Appuntamento alla prossima settimana con la 2° parte dell'intervista a Chiara di Notte! Vi aspettiamo, DC.

Le Interviste Scomode Su blog2piazze

domenica 23 novembre 2008

invito spettacolo 'La vita è una palla al piede'

AL "BAFFO DELLA GIOCONDA"
Via degli Aurunci 40 Roma -S.Lorenzo
Domenica 23 novembre 2008 ore 21.30
"LA VITA E' UNA PALLA AL PIEDE" (l'esistenza attraverso le imprevedibili traiettorie di una sfera di cuoio che calciata da un piede umano vola libera ed irrefrenabile verso il suo naturale destino : il GOOOOOL!!!!!)
Testi : Osvaldo Soriano-Eduardo Galeano-Darwin Pastorin
Voce Narrante: Mario Palmieri
Video: Garrincha-Maradona
Musiche: Tango-samba e ritmi sudamericani

venerdì 14 novembre 2008

per natale niente palle

...ma un gesto solidale,
se proprio non resiste al desiderio di comprare regali e regalini
DC, in veste di ''proud sponsor'' segnala i

MONILI RED BLIZZARD

Diversi a testa alta Ogni monile Red Blizzard è fatto a mano, unico e irripetibile. Dall’etno-lusso consapevole al bio-chic, ciascuno nasce dalle suggestioni di atmosfere naturali o metropolitane, realizzate con pietre semipreziose pachistane, perle brasiliane e africane, pietre di fiume e di lago alpino, conchiglie, pietre dolomitiche e materiali “urbani” insoliti.

Rivoluzionari? Resistenti! Corde e nodi sono la base di queste creazioni che riprendono le antiche tecniche del macramè arabo e i nodi cinesi, scavalcando le culture e scavando nell'ancestralità.

Diversi a testa alta

I monili Red Blizzard sono 'solidali': parte del ricavato è devoluto (a titolo privato) al progetto di alfabetizzazione a Fortaleza (Brasile) Projeto A dell'Associazione Tremembè Onlus.
per saperne di più

mercoledì 15 ottobre 2008

appello per la famiglia Casu

riceviamo e volentieri pubblichiamo
Appello in favore della famiglia del signor Giuseppe Casu, deceduto in psichiatria mentre si trovava legato al letto da sette giorni (si può scaricare il testo completo nell' area iniziative).
La famiglia del Signor Giuseppe Casu non è in grado da sola di affrontare tutte le spese legali e di consulenza relative al processo penale che vede imputati di omicidio colposo i medici del Servizio di Diagnosi e Cura di Cagliari, Turri e Cantone.
Ci hanno chiesto una mano e noi ci rivolgiamo ai nostri sostenitori e a tutte le persone disposte a dare anche un piccolo contributo.
c/c n°100707 Bancario, BNL, AGENZIA DI CAGLIARI, LARGO CARLO FELICE CODICE IBAN: IT70B0100504800000000100707 INTESTATO A A.S.A.R.P.-con indicato nella causale "per la causa di Giuseppe Casu" PER QUALUNQUE ULTERIORE INFORMAZIONECHIAMATE:
070/47443426 – 3207721343 – 3381597287

venerdì 3 ottobre 2008

festeggiamo insieme quota 30.000

Torta fatta da DC e presto sbafata da Poldino
Cari amici blogger con emozione vi invitiamo a gustarvi una fetta di torta salata al radicchio, che celebra le 30.000 pagine visitate da quando è online il blog a 2 piazze.
Non fate complimenti, ce n'è per tutti!

sabato 13 settembre 2008

Tagliarsi i capelli e vivere felici – gli atti del convegno

Del matrimonio e altre bazzecole II
Eccomi qua….. (molto!) in ritardo (mi scuso), a riprendere dalla legittima curiosità dell’amico Cicciosauro (aka Wilson) sulla vecchia signora Wilson che si interrogava sulla felicità. Al bancone di quel vecchio pub di periferia di Manchester con noi doveva esserci un infiltrato: una manina che sgranocchiava pistacchi e parole della signora Wilson. Qualcuno che si è appropriato della sua alcolica saggezza stanca….
E so’ contento!! Economisti di tutto il mondo stanno cercando di capire cosa sia la felicità, ovvero cosa ci rende felici. Dalle loro interviste planetarie emerge che chi si affaccia oltre la soglia della povertà, al finestrino della BWM o al bordo vasca Jacuzzi, non è felice. Siccome san fare i conti, gli economisti sanno che le persone a mollo nella Jacuzzi son le stesse che foraggiano i loro studi... dunque han fatto spallucce alle centinaia di migliaia di persone povere & infelici (forse infelici perché povere? E chi se ne frega!). E hanno capito che la nuova frontiera della felicità sono i beni immateriali: culturali, socio-relazionali e ambientali. Un po’ come dire che il ricco si sente davvero bene se visita gli Uffizi in orario blindato o guardando le paperelle nel parco della sua villa. Comprendiamo quindi che la vista di un mendicante sulle scale del museo e della barbona sulla panchina potrebbe turbarli. Capiamo che quel genio mattacchione del nostro governo lavora veramente. Sì, per loro. Per mantenerli gai: banditi i mendicanti; che sono ste borse piene di stracci? Via! 3 poveracci in minacciosa comunella per strada? Circolare o vi arrestiamo! ….
Allora è con un certo orgoglio che tiriamo le somme delle vostre dichiarazioni sulla felicità: * L'ignoranza porta la felicità (...)
* Invece ci sono cose che mi "rendono" (temporaneamente) felice: quando mi pongo un obiettivo e riesco a raggiungerlo.
* (...) Elenco di cose im/materiali = Missione: difficile, se non impossibile * Felicità è un bicchiere di vino
Ma attenzione! Avete anche voi - spesso - avete espresso necessità o desideri immateriali.. Quindi attenti c'è il rischio di gabola e che il nostro amato premier si stia dando da fare per rendere più felici anche voi…!
OSssequi. O se' lì? DC

venerdì 30 maggio 2008

Dalle favelas alle Dolomiti ….


Riceviamo e pubblichiamo con piacere

Besenello (TN), 29/05/08.-


“Ma se il governo vede che questi piccoli progetti hanno così tanto beneficio per i bambini, perché non interviene? Dovrebbe occuparsene …”
chiede una signora in sala. Ci pensa Aurinelia a chiarire un po’ le cose. Il viso dolce, incoronato da riccioli neri, grandi occhi languidi, il suadente mix di italiano e portoghese brasiliano si insinua fra logica e irrazionalità, accompagnando le fotografie dei bambini del Projeto A sullo schermo: a scuola, mentre giocano, mentre festeggiano natale con un italiano improvvisatosi Papà Noel; a mensa; scorci di favela e di spiagge dorate…

Il Projeto A - Casa de aprendizes da auto-estimaè figlio della caparbia visione di Aurinelia e di alcune ragazze trentine soce di Tremembè Onlus, associazione che si occupa di solidarietà internazionale e turismo responsabile nello Stato del Cearà, (nord-est del Brasile). Il progetto è un doposcuola rivolto a bambini e bambine del Conjunto Palmeiras, quartiere favelado di Fortaleza, (capitale del Cearà) per sostenerne l’alfabetizzazione e l’apprendimento, nella convinzione che la consapevolezza di sé e del proprio ruolo nella società, dati da un'istruzione adeguata, possono generare il cambiamento. Avviato nel 2007, oggi il Projeto A ospita 40 bambini e bambine di 6 e 7 anni, che oltre all’alfabeto e a materie di base, apprendono anche l’autostima, intesa come possesso degli strumenti per diventare cittadini attivi. Attività ludiche e culturali si abbinano all’insegnamento di comportamenti igienici e alimentari sani, di diritti e doveri, coinvolgendo anche le famiglie.

L’appuntamento di Tremembè si inserisce nella Rete Internazionale delle Donne per la Solidarietà organizzata dalla Provincia di Trento all’interno del Festival dell’Economia.


Aurinelia incarna il cambiamento e storie di riscatto e speranza. C’era un bambino di 11 anni, che lui, al Projeto A proprio non ci voleva andare! La sua mamma insisteva. Ma lui non voleva imparare a leggere e scrivere. Io voglio imparare a usare la pistola! - diceva. Essere grande, essere “uomo”? Come i ragazzi di 11 e 17 anni che armati di pistola qualche settimana fa hanno fatto incursione fra i banchi di scuola, minacciato maestre e bambini, terrorizzato, rubato? Alla fine quel bambino ci ha preso gusto, al Projeto A, e ha disegnato persino dei fiori, “anche se non sono robe da uomini”!
“Per questi ragazzi imparare a leggere e a scrivere non è un valore – prosegue Aurinelia - i bambini negli stati poveri del Brasile sono tanti, troppi. A scuola non c’è spazio per tutti. E mentre nel Sud ricco, industrializzato e tecnologicamente avanzato anche il sistema formativo funziona, nel nord è incancrenito. Diversi sono gli interessi del governo: a sud, dove ci sono imprese e industrie, c’è bisogno di gente istruita da inserire nel mondo del lavoro per portare avanti l’economia. Viceversa, il governo ha tutto l’interesse a mantere nell’ignoranza i milioni di elettori analfabeti del nord, ignari dei propri diritti e doveri, che si lasciano incantare da show, regalie e promesse elettorali. Un popolo analfabeta fa comodo. Lo governi come vuoi”.


Chi desidera può contribuire sostenendo il Projeto A con un’adozione a distanza: con soli 50€ all’anno si coprono i costi per un bambino/a.

Ecco come fare:
I contributi, detraibili fiscalmente, vanno versati tramite bonifico bancario a:
Associazione Tremembé Onlus
Cassa Rurale di Trento 08304 01808
Cod. IBAN: IT63 K083 0401 8080 0008781416
causale: Projeto A


Tutti gli sviluppi dell’attività saranno comunicati e documentati tramite mail o posta, comunicandoci il vostro indirizzo via mail o telefono.
Contatti
Lara Lupato: cell. 340 7739382
Laura Adami: cell. 349 8900966
e-mail: projetoa@tremembe.it
http://www.tremembe.it/


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