martedì 3 giugno 2008

Per non dimenticare la Primavera di Praga


Nel 40° della Primavera di Praga
vi ripropongo



Torce umane
Il Museo del comunismo
http://www.muzeumkomunismu.cz/ è in pieno centro a Praga. Pare sia unico al mondo. Sta sopra un Mc Donald, a lato di un casinò, vende magliette griffate ed ha un bookshop. Aperto nel 2001 (o 2002?) da un imprenditore americano, titolare di negozi di bagel ebraiche a Praga, è un business in piena regola. Fortemente di parte. Un po’ scarno, superficiale e propagandistico. Induce a pensare quanto si sta bene nel capitalismo mostrando alcuni aspetti aspri e corrosivi del comunismo; propaganda tipica da americano medio. E io che quasi temevo che mi avrebbero chiesto nome e cognome, all’acquisto del biglietto... Ponf! Schedata… (e adesso chi ci torna, in Italia, mo’ che risorge anche il Berlusca?)



Da sempre subisco uno strano fascino per i Paesi comunisti (ora ex); immagino aurore orwelliane, una patina grigia che avvolge segreti, squallore e sudore timoroso, strisciando fra le pareti di casermoni sovietici. Mi rammarico di non averne visitati quando era ancora spessa e pesante la cortina di ferro. Di un lontano viaggio in Jugoslavia riaffiorano al ricordo solo un bellissimo bambino biondo, un lampione minaccioso nel temporale e cioccolata con vermetti bianchi sugli scaffali semivuoti di un negozietto chissà dove. Poiché sono assai ignorante in storia e politica, certamente molte cose mi saranno sfuggite, nel museo.


Ma certo non sono sfuggita io all’angosciante e ferocemente raggelante sguardo di Jan Palach http://www.janpalach.com/, studente di 21 anni che nel 1969 si diede fuoco in piazza S. Venceslao per protesta contro il comunismo: una foto verdastra ne ritrae il viso bruciato, le palpebre - socchiuse e senza ciglia – lo fanno sembrare ancora vivo, in attesa sotto il lenzuolo. Sembra guardarti e interrogarti: lo cogli, il senso del mio gesto? Tu, che giungi ora dalla strada, alle 20.03 del 17 febbraio 2008, lo cogli il senso del mio gesto? Dimmi che ha avuto un senso. E che non sono morto invano. Che questo mondo è cambiato. E che non mi ha dimenticato.



Il suo viso mi ha strappata al sonno, alle 2 di notte. Sola nella stanza d’albergo, proiettavo nel buio la paura: la paura di morire, di una morte assurda, di un mondo che cambia, la paura di non aver capito, di non meritare la sua morte. Oppure, forse, di capire e dover quindi, inesorabilmente, condividerne le scelte? Induceva un timore fosforescente, scalpitante. Per me, abituata a osservare e condannare gli effetti collaterali del capitalismo, di cui mi pascio e in cui pecco,


per me che fallisco reiterati tentativi di resistervi, è inconcepibile leggere con occhi praghesi post-comunisti le scritte inglesi e le catene di franchising, assaporare gli hamburger e mescolarmi ai turisti ficcanaso.



Avrei voluto parlare con qualcuno, chessò, un ex poliziotto del regime. Capire come si è tolto la divisa, scivolando in una vita occidentale. Se la famiglia, i vicini di casa, gli ex colleghi lo hanno insultato, rinnegato, invidiato. Invece, ho raccolto solo un paio di commenti di giovani praghesi. Troppo giovani per sapere o ricordare. Il resto, lo posso solo immaginare.. cercando di spiegarmi perché, lontano dal centro, sola e disorientata in una città di cui non conosco neppure l’alfabeto, i praghesi più anziani che cercavo di fermare chiedendo informazioni in inglese, mi sfuggivano, si schernivano, fingevano di non avermi visto, sentito, capito. Si narra che nell’era comunista fosse reato non denunciare sospetti di sovversione e tradimento. Il mio primo pensiero è stato che i passanti fossero ancora intimoriti; che ancora oggi non si fidino, non vogliano essere visti, fermati, notati, riconosciuti. Che forse una sverniciata occidentale di Zara, Benetton e Bata, può fornire un comodo nascondiglio dove cullare sogni, ansie e timori mentre annusi l’aria per capire come, ancora, cambierà questo mondo. Se veramente la censura è scomparsa, se vale la pena mettersi in gioco, seguire la storia, abbracciare il cambiamento. Barattando magari una morte da torcia umana con uno schianto da Saturday Night Fever al volante di una ruggente auto fiammante. O è preferibile una moderna overdose?

14 commenti:

articolo21 ha detto...

Jan Palach, per me, rimane il vero '68.

duhangst ha detto...

Anche io ho sempre subito il fascino dei paesi ex comunisti, ho avuto la fortuna di essere ospite di russi a Mosca e girare con loro.

Unknown ha detto...

Tra qualche giorno cade anche il 19° anniversario della breve primavera di Pechino, finita - però - in modo diverso e più tragico.
Oggi la piazza è blindata, ai nomi di Zhao Ziyang e Wen Jiabao i motori di ricerca danno pagina bianca, si bloccano, si inventano pagine inesistenti.. Piazza tiananmen è blindata, da qualche mese ormai non ci si può più mettere piede, le Olimpiadi fanno paura e la vetrina è un palco allettante.
Forse la storia è andata meglio in questo modo, cosa sarebbe stato un Paese così grande con tante menti libere di pensare?

Onore a chi muore ancora oggi per la libertà.
E onore a chi è morto invano, sperando (invano) di poterla raggiungere.

musa capricciosa ha detto...

Anch'io affascinata dai Paesi del socialismo reale, avida lettrice di tutto ciò che riguarda questo mondo. Sono nata troppo tardi per vedere e capire, spero non riescano a cancellarne il ricordo.

il Russo ha detto...

Ciao, questa qua la conoscerete già di sicuto, in caso contrario vi invito a scaricarla o procurarvela, merita.

Damiano Aliprandi ha detto...

Triste avere un passato di socialismo reale con tutte le sue contraddizioni e avere un presente di altrettanta tristezza con un misto di simboli vecchi e nuovi.

Anonimo ha detto...

a proposito di primavera di Pechino leggete un pò questo

Fifì79 ha detto...

Ciao mia cara Donna!
Passo in velocità a salutarti e ringraziarti per il post che mi hai scritto domenica. Scusa il ritardo, non è cafonaggine ma sono stata a zonzo, ho gozzovigliato un po' e trascurato il blog.
Tornerò a leggerti anch'io con più calma, e a lasciarti un commento come si deve.
Nel frattempo, ti abbraccio forte!

Ciao :)

fabio r. ha detto...

oltre Jan Plach, Dubcek e Havel a me torna sempre in mente Kundera: L'insostenibile leggerezza dell'essere (libro e anche film, valà!) è un testo "a prescindere" per me..

esachan ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
esachan ha detto...

io ci son stata al museo del comunismo e son felice di sentire che non solo a me è parsa una propaganda sciocca... però mi sono innamorata dell'orsacchiotto col mitra in mano e di qualche manifesto sciocco. L'unicao aspetto della vita che ancora mi affascina è che è piena di contraddizioni...

Donna Cannone ha detto...

Non sono ancora stata in Russia, ma spero di andarci prima o poi.
Non so davvero se valga la pena morire per un ideale.
Se il genere umano valga davvero sacrifici così enormi.
Cito un'amica, seondo cui chi dovrebbe leggere e informarsi, troppo spesso i realtà non lo fa, e quindi corriamo il rischio di essere autoreferenziali, di parlarci addosso e rassicurarci nelle rispettive visioni e condanne.
Nonostante tutte le contraddizioni del caso, Jan ha fatto breccia nel mio cuore e credo che anche per lui e per donne e uomini come lui, abbiamo il dovere di tenere alta la testa, cercare di autosuperarci, non mollare mai.

Anonimo ha detto...

quello che stavo cercando, grazie

Anonimo ha detto...

quello che stavo cercando, grazie