Marzo 2009. Da Siviglia a Milano. Una comitivia di pattinatori del Garda si accalca in una fila disordinata alla soglia del tornello di imbarco. Intollerante al burruzzume connazionale, trovarmi assediata da un carico di bestiame volante aggrava la mia orticaria, (altrimenti detta sociopatia).
Frizzi lazzi e allegre battute scontate erano già iniziati sull'autobus per l'aeroporto. E infatti viaggiavo già con i tappi alle orecchie.
Al tornello dell'imbarco hostess spagnole invitano pazienti a stare in fila. Io aspetto sempre seduta che si smaltisca, avendo testato clinicamente che essere tra i primi al check-in non mi garantisce un posto in prima fila nè mi porta prima in Italia. Ma soprattutto, che se anche mi siedo vicino all'Exit non posso buttare nessuno dal cielo.
Devo dire qui che il circo con gli animali non mi piace. Un altro paio di maniche è quello con gli esseri umani. Innanzitutto, non si paga. Poi, non mi instilla pietà.
La sicurezza di volo può attendere Mentre penso tutto questo e mi sistemo nella sedia in attesa, inizia il controllo dei bagagli a mano. Ci sorprende che molti degli allegri compagni di volo pecchino di eccesso di peso, di ingombro e numero di bagagli a mano? No. Non ci sorprende. Se delle regole ci sono, loro non le hanno lette. O forse le hanno lette e ritenute inutili per sè. Prioritario diritto per lo sfavillante turista italiano è il trasbordo di T-shirt col torello de puta madre, souvenir, nacchere e ventagli. La sicurezza di volo può attendere. E io non vedo come dargli torto. Se si schiantassero in volo non sarebbe un gran danno.
Ovvio, io preferirei non esserci.
A uno sguardo allenato la calma piatta di una folla disordinata rivela l'inizia dell'inquietudine. Chi si piega sulla valigia per metterci dentro un'altra borsa, chi comincia a chiedere al marito o all'amica se gli avanza un po' di posto per la scorta di nacchere. Un serpente di tensione avanza screpolando matrimoni e scuotendo amicizie. La temperatura è a bollore con i primi, oltraggiosi, rifiuti. Mariti e amiche non hanno posto per i leggiadri ventagli con pizzi e scialli zingareschi acquistati con amore per le nonne che, oramai, non viaggiano più.
Le ardite allora percorrono la fila all'incontrario, in appello a sconosciuti mendicano un po' di spazio in valigia (fino all'atterraggio in Italia). Ma nessuna ha la spudoratezza – o la fantasia - di offrire in cambio favori sessuali. È forse per questo che i viaggiatori estranei alla comitiva rifiutano.
E i nervi saltano. Signore disperate tentano invano di ingoiare 8 paia di nacchere e infilarsi sopra alla pelliccia il cappottino di Desigual comprato per la figlia di 8 anni. Ne ho vista una ingoiare 15 buste di francobolli per evitare che si strappassero nella cerniera del trolley.
Poi, qualcuno incomincia a inveire contro le hostess. E le hostess alzano la voce.
È uno stillicidio, non un check-in, quello che attraversa il tornello ed è ammesso a volare. La fila bloccata si accalca, ingombrante, pesante, sudata, nervosa - si spinge, si urta. Ma non si sposta. Una richiesta con occhio miserando cozza contro il mio muso calcificato: «Scusa, scusa, non hai un po' di spazio?» «No». Come non mi prendo la briga di aggiungere «mi dispiace», non aggiungo nemmeno che non abbiamo mai mangiato polenta e funghi insieme: perché la mendicante di spazio in valigia per eccesso di bagaglio si sente autorizzata a darmi del tu?
Lo sport è un valore di tutti Potrei sorvolare sul fatto che questi fulgidi esemplari di civiltà italiana accompagnano un gruppo sportivo di bambini. Ma non lo faccio. (Vorrei che qualcuno registrasse la scena, casomai stesse studiando la genitorialità italiana o la disciplina nello sport).
Mentre annoto in mente i particolari spingo lo sguardo sulle chiappe sode di una accompagnatrice in tuta, sulla pelliccia di un'altra, sulle facce truccate contorte nell'attesa. E sento il ronzio della rissa che sale. Monta, cresce e si inarca come la spuma di un cavallone contro lo scoglio delle hostess. Avanti, alla trincea del tornello, in spagnolo e in inglese hanno cominciato a informare, decise ma quasi rassegnate al passeggero italiano, che l'eccesso di bagaglio non passa. Che i passeggeri fuori norma non voleranno. I tempi si allungano, l'equipaggio si inquieta. Ma non cede.
La bomba scoppia quando un ragazzo con la valigia troppo grande e troppo piena si vede minacciata la partenza. «Se non mi fa partire giuro che l'ammazzo!», commenta a voce alta.
Poi, il colpo di scena: una signora ingioiellata tenta il sotterfugio. Non vista, passa il tornello con una borsa mentre si fa reggere la seconda da un'amica in attesa di check-in. Superate le hostess, scarta a destra, si avvicina alla complice, afferra la seconda valigia e si lancia verso l'aereo.
«Tontos no, ¿eh?» La guerra è aperta. Hostess e steward scattano all'inseguimento, non intendono farsi menare per il naso «La mia valigia! La mia valigia!» risuona l'urlo della donna nel corridoio, e poi delle scuse: si deve assolutamente imbarcare perché suo marito è già sull'aereo e ha scambiato le loro valigie. Il resto, è circo. Sempre gratis.
Hanno barato mentito spinto oltraggiato ingannato minacciato e offeso, questi campioncini di pattinaggio e italianità. Con la pretesa, arrogante, sempre, di aver ragione. Con la minaccia, perfino, di uccidere una hostess.
Quando, superato il blocco critico, percorro la riga gialla che mi porta all'aereo, vedo partire un furgoncino in direzione opposta. Troneggia in cima alle valigie e ai bagagli rimandati indietro un trolley fucsia. Sull'aereo mi guardo intorno, sorniona. Non vedo nessuna delle facce lacrimevoli di poco prima. Nessuno dei mendicanti di spazio è a bordo. La gente imbarcata è tranquilla, anche quelli del gruppo di pattinatori. L'aereo si alza dalla pista, rullano i motori che mi riportano a casa e mi sfugge un sospiro sconsolato. Lo spettacolo al check-in è stato bello, quasi più di tutto il viaggio. Ma sono convinta che mi sto perdendo la parte migliore.
DC