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Thyssen o non Thyssen, di infortuni sul lavoro si parla spesso. Merito del presidente della repubblica, anche se lo stillicidio di incidenti invece di allarmare rischia paradossalmente di far calare la tensione.
Tra gli ultimi provvedimenti che il governo ha inteso promulgare c’è un inasprimento delle sanzioni per le imprese che non osservano le misure di sicurezza. Le critiche della Confindustria svelano la volontà di continuare a trasgredire le regole, di fare profitto senza badare a occhi, mani, piedi, vite perse.
L’entità delle sanzioni e il profilo delle fattispecie hanno a che fare con l’indirizzo politico, che non ci compete. Ma da un’ottica giuridica possiamo provare a lavorare per analogia.
Ricordiamo il caso di un ragazzo di Merano che segò una gamba ad un suo amico, provocandone così la morte per dissanguamento. Il fatto che la vittima fosse consenziente non fece da discriminante per il colpevole, che andò incontro ad una condanna per omicidio preterintenzionale.
Ora mettiamo al posto del colpevole un imprenditore che assuma un disoccupato in una cava, in una fonderia, in un cantiere.
Quante possibilità ci sono che prima della pensione il neoassunto non finisca sotto un masso, una pressa, venga arpionato da una ruspa, precipiti da un’impalcatura o in un altoforno? Viste le statistiche poche.
Ma anche nel caso l’operaio giunga a riposo illeso probabilmente contrarrà una malattia professionale.
Non si tratta di un semplice rischio, né di un fatalità. Piuttosto il salariato vende il suo corpo per vederselo riconsegnare mezzo secolo dopo pronto per la tomba.
Il nesso di causalità non ci pare dissimile da quello del caso del ragazzo di Merano, se non che in quel caso la vittima aveva messo in conto di rimetterci una gamba per riscuotere un premio assicurativo di milioni, non uno stipendio da fame.
Ne consegue che responsabile di questo delitto è l’imprenditore, colui che “ci mette il rischio”, come dicono quelli che se intendono.